UN ALFIERE  AIUTA UNA DONNA IN PERICOLO   [RACCONTO]

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UN ALFIERE  AIUTA UNA DONNA IN PERICOLO   [RACCONTO]

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DI WALTER GALASSO

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   Scuola stop, per oggi ‘sta importantissima rottura è finita. Emanuele Nicola Reno prova, un attimo dopo essere uscito dal plesso, un senso di sollievo. Si sente come un viaggiatore, abbonato a una macchina del tempo, che dopo essere stato nel Medioevo, a espiare nell’Abbazia di Montecassino gli atti impuri della sua immaginazione erotica, si ritrovi oggigiorno a New York, nel cuore di Manhattan, per seguire l’Hip Pop Summer Blast e tentare, nell’occasione, di rimorchiare un’americana da urlo.
   Magari! Purtroppo in questo momento Manuel non ha la fortuna di avere accanto una bella ragazza, ma, a parte questa sfiga, l’evasione dalla scuola gli regala leggerezza, letizia sportiva, capacità di sentire nell’aria un bel profumo, percepito non dalle sue narici ma, in in fiuto in senso lato, dal suo cuore di teen-ager. Prima, in classe, si sentiva un leone in gabbia, aveva la sensazione che la sua libertà fosse leggermente infastidita dai suoi doveri di discente, impegnato nella Mission, indoor, di abbeverarsi alle fonti didattiche di professori non stronzi ma nemmeno perfetti. Adesso il maestoso felino che è in lui, equipaggiato con criniera metaforica e spregiudicatezza aggressiva, può finalmente godersi ad libitum la foresta allegorica di cui è l’informale re.
   Aleggia nella sua tonalità emotiva una scattante voglia di un edonistico cazzeggio sprint. Vuole scatenarsi nel relax, senza amarezze che rendano opportuno, causando mal di stomaco, l’uso di Malox previa lettura di un prolisso bugiardino, pieno di scienza & fuffa jolly. Lo zaino, simbolo no, posticcia gobba che sembra il fratello scemo d’una camicia di forza, a breve se ne andrà in stand-by, zitto e muto, inutile nell’alba di una nuova era, lunga forse qualche ora, in cui questo guaglione sarà se stesso. Basta! Maledetti doveri! La parte più coscienziosa e meno improvvida del suo cervello -un laboratorio non scarso, anzi o.k., di pimpante intelligenza- sa che egli vi deve attendere, perché deve, perché ha da proccacciarsi, con impegno ammodo, un futuro migliore, però non c’è fretta, la sapiente perfezione, più che mai in fieri, può attendere.
   Questo liceale nella norma è assolutamente d’accordo sul fatto che non bisogna bruciare le tappe, come, per esempio, vuole fare un suo compagno di classe, secchione e saccente, Marco, il solissimo primo della classe. Un pistola che, non pago di sacrificare pezzi di fresca giovinezza alla sua voglia di un profitto record, peggiora la sua loffia situazione volendo pure ergersi a politico in erba, enfant prodige dell’impegno istituzionale. Da quando è diventato rappresentante d’Istituto si atteggia a statista. Il giorno in cui, in una riunione da lui presieduta, s’è presentato in giacca e cravatta, Emanuele lo ha visto più strano di una giraffa con un gilet addosso. Premesso che nella visione del mondo del signorino Reno ognuno è autorizzato a fare quel che più gli paia e piaccia, e che perciò lui è lungi dal voler prendere per i fondelli quell’aspirante Arc di scienza, lo critica non tanto per stigmatizzarlo quanto per compatirlo. Lo sgobbone, incapace di restare, a livello di stile esistenziale, nel leggero ed effervescente perimetro della sua adolescenziale età, gli fa più pena che altro. Con le sue seriose nevrosi, in preda al suo buffo anacronismo, non sa che cosa si perde.
   Nicola, se avesse aspirazioni di monaco predicatore, armato di edificanti pistolotti, lo prenderebbe sottobraccio e, nel suo bene, gli farebbe un bel discorsetto. Gli direbbe di darsi una regolata, di non voler essere adulto prima del tempo, ché un cucciolo di alano deve fare il bebè, ché se prova a scimmiottare suo zio, questo, dall’alto della sua sapienza canina, comincia a preoccuparsi, temendo che il nipote sia un puppy con qualcosa che non quadra. Ma Manuel monaco non è, non vuole fare proseliti per sentirsi un fico modello di virtù, e si limita a pensare a sé, a salvaguardare il suo immaturo buon senso. E quindi gli basta rifuggire come da peste dalla narcisistica ambizione di bruciare gli steps che intercorrono da qui all’epoca fatta di Lavoro, famiglia da mantenere, bollette da pagare, vicini da far rosicare, ostentando ricchezza di quattrini e reputazione da commendatore affermato. Il ragazzo vola basso, naviga a vista, seguendo una rotta di piccolo cabotaggio, e in questo basso profilo la sua personalità, contrassegnata dalla giusta dose di autocoscienza, sta benone.
   Lo studente cammina beandosi del suo istintivo brio, un’energia che non gli costa alcuna fatica. Un emissario della fabbrica dell’appetito fa toc toc sul suo organismo. Il pischello ha mangiato un panino, al bar del suo Istituto, ma tale cibo è già stato assolutamente azzerato dal suo apparato digerente, non dissimile da quello di uno squalo terrestre. Non vede l’ora di sbranare, quando sarà di nuovo a casa sua, un collinare piatto di pastasciutta. La sola idea gli fa venire l’acquolina in bocca.
   La sua eterogenea e ibrida esuberanza, un élan sia fisico che psicologico, è parzialmente contraddetta da una sfumatura dell’atmosfera circostante, che è vivace, caotica, agitata come un acquario incasinato a causa di un microtsunami interno al suo liquido, però è ed ha anche un’aria banale. Una dimensione inquinata, a livello di sofisticata qualità, da un déjà-vu larvato. Solita solfa, tran tran a cui la generale routine si abbarbica come edera si attacchi al muro e faccia l’amore con il tetragono sostegno ch’esso le dona. Molte persone sembrano inserite in un meccanicismo più che nel cosiddetto e decantato libero arbitrio. Mezze schiave delle loro abitudini, passivamente scatenate mentre la fretta le pilota con un invisibile guinzaglio. Che noia boia la castrata originalità! Va in onda, nello spettacolo della realtà, una latente alienazione, in una specie di inganno dell’impegno: tanti soggetti, ben vestiti, fieri di essere inseriti in un orario lavorativo ‘dalle alle’, con una tabella di marcia che arieggia la road map di un battaglione di scienziati in gara per un Nobel, sotto sotto sono sconfitti da una monotonia che gli fa cappotto. Anche a questo quadro generale l’attuale Emanuele Nicola vuole contrapporsi, mediante il provvisorio sposalizio con una spensierata irregolarità.
   Evviva il caso e i suoi derivati! E il suddetto punto esclamativo somiglia a un’asta a cui attaccare la bandiera della disinvoltura. Il boy accelera, svolta, rallenta, corre, di più, poi no, e dopo mille variazioni di registro giunge nella stazione ferroviaria. Qui, dopo un’attesa (né eterna né lampo) su una platform dove coesistono agenti della Polfer e un’incensurata faccia da galera, l’ometto sale a bordo di un regionale. Resti di spuntini, microcassonetti della monnezza che tracimano di rifiuti come un fiume possa esondare e fare danni, puzza di piedi, e un poliziotto che si materializza e poi svanisce, come una peregrina ed effimera apparizione metafisica. Il passeggero trova un posto, si siede e si sbraca, con i piedi sul sedile davanti, come invasori mossi da una propulsione imperialistica. Poi perfeziona l’imperfezione, facendo arrivare le piote sui braccioli.
   Il treno corre veloce, la mente di Emanuele di più. Il regionale attraversa paesaggi pienissimi di storie che appaiono solo nella loro superficie, in una fenomenologia monca, così sintetica da sfociare in un’ingannevole incompletezza. Il ragazzo ne spia i dettagli, senza voglia di approfondirne il backstage, eppur permeato di una frizzante, scatenata, gratuita curiosità. Il mondo esterno al veicolo è bellezza, casino, sequela di beffardi segreti, sgargiante spettacolo di scene amalgamate fisicamente in un melting pot senza regista.
   In una villa a due piani, con la facciata non colorata come Arlecchino, e l’appendice di un balcone che aggetta come un naso e contiene un mix disordinato e banale, v’è, frizzante colpo di scena, una piscina, wow! Ma non è tutto oro ciò che splende: dentro quel lussuoso cratere non c’è acqua. Ivi regna degrado, accumulata sporcizia, chiazze di schifo a macchia di leopardo. Il passeggero capta en passant quella chicca, resta abbastanza esterrefatto di fronte all’irrazionale connubio -in quell’effetto speciale-  di status symbol e pessima manutenzione. Lo stupore albeggia nel complicato apparato sensoriale mentre una sua mano ficca nella sua bocca, simile a un’umana caverna capace di linguaggio, una profumata gomma americana. Il suo cervello si chiede il perché e il percome di quella incongruenza. I misteriosi, anonimi proprietari di quell’immobile sono a dir poco astrusi, diciamo pure teste d’ombrello. Hanno una swimming pool e non la usano, e non la flexano, non se la godono, non la sfruttano per ottenere un sollazzo da sbattere in faccia ai vicini, per dirgli “rispetto a noi siete dei miserabili, pezzenti nullità, sfigati membri del sottoproletariato urbano”. Hanno il pane -il lusso XXL- ma non i vanitosi denti -la voglia di aprire la ruota e attaccare, mediante la sua superba latitudine, il prossimo-. La testa del ragazzo è un laboratorio farfallone, un cerebrale motore che ha bisogno, per divertirsi dietro le quinte senza nemmeno accorgersene, di disprezzare un’anomalia, di trovare in essa motivi di inutile critica. Vuole anche vendicarsi -in una pulsione inconscia- del mistero che connota mostruosamente la loro identità. Lì, in quell’area privata, in questo momento non ci sono esseri umani, v’è una distesa assurda di assenze, gli oggetti la fanno da padroni, e questo spettatore, in una sua parte nascosta, è ferito da tale deserto. Vuole fargli un dispetto con l’Indifferenza ma, va da sé, senza erogare un’energia autolesionistica.
   A livello di non erotica libido il suo Io ha un desiderio di piacevole spensieratezza, che fagocita involontariamente anche gli slanci del suo epidermico ragionamento, mentre mastica, con nevrotico ritmo, il chewing gum e vede, in sguardi a volo d’uccello, quelle immagini laggiù. Dura un amen il tempo a disposizione per mettere la piscina nel mirino cognitivo delle sue indiscrete pupille. Perché il bolide su binari è performante e scappa, come se sia un bandolero inseguito, dopo aver fregato grisbi, da zelanti e spettacolari forze dell’ordine. L’acme della carica offensiva che Manuel pone in essere nella sua interpretazione ermeneutica della piscina è toccato quando ormai egli non la può più vedere. Il suo intelletto si scatena in uno sfottò lubrico, pensando ‘che teste di cazzo, hanno una piscina e l’abbandonano, col rischio che qualche poveraccio, irritato dal loro snobismo, scavalchi la recinzione e pisci dentro’.
   Dopo la volgare boutade si materializza all’orizzonte la figura di un controllore in gonnella, una ragazza tanto carina quanto inesperta. Una parte di lui gusta il piacere di vedere femminile bellezza in un ruolo antipatico, e si chiede se la manciata di suoi anni in più e il fatto ch’ella sia nell’esercizio di funzioni ferroviarie possano costituire un ostacolo al suo eventuale tentativo di provarci. E sì, perché la fata non è mica male! Un’altra componente della sua variegata intelligenza, invece, getta invisibile e noetico fango sulla sua reputazione professionale. Pensa, infatti, che ella stia senza merito in quell’uniforme e intaschi uno stipendio, alto o basso non importa, fottendolo allo Stato, perché, se tanto gli dà tanto, è stata assunta grazie a una bella raccomandazione all’italiana. Vitupera senza cognizione di causa, non sa nulla di quella girl, che in teoria può pure essere così tanto intelligente da meritare una celebrativa onorificenza da parte dell’ONU. Forse è per una latente forma di resipiscenza, pentito di un’accusa gratuita, che corregge il tiro in un parziale e indiretto tentativo di riparazione. ‘Ammenoché non abbia avuto una gran bella botta di culo nel superamento del concorso’.
   A parte l’eventualità di un etico desiderio di non eruttare a vanvera stronzate offensive, lo studente non ha una grande voglia di sviluppare questo filone argomentativo. Non è il tipo che, non ancora maggiorenne, voglia utopicamente cambiare il mondo. Se ne frega, pur albergando in lui un minimo sindacale di impegno. Non anela a cambiarlo, e non ci sta a esserne cambiato: nel match fra le due polarità, partita senza arbitro e ancora in corso, il punteggio attuale è un pareggio a reti bianche, prudentemente inviolate, zero a zero, ma senza che questa specie di montatura di occhiali, 00, significhi carenza di spettacolo in campo. Emanuele si concentra sulla grazia estetica della signorina, perdonandole la sua somiglianza, nei panni di pubblico ufficiale, con una fonte di aggressiva e pignola molestia. Proprio quando inizia a fantasticare in modo osceno sulla donna, squadrandola dall’alfa all’omega del suo fisico e immaginando…, ella ritorna indietro, andandosene in un altro vagone ed evitando di chiedergli l’esibizione di un valido ticket. ‘Che tesoro, s’è fidata di me, ha visto che sono un bravo ragazzo’, e mentre il passeggero si rilassa con questo scherzo dei suoi pensieri, sorridendo sotto i baffi che non ha, dal vagone in cui lei è andata proviene un uomo, con una faccia ambigua.
   Non è proprio da ceffo, ma è tale che non si può escludere che lo sia. Sembra nervoso, non con un diavolo per capello: con 1 demonio ogni sei peli in testa. Lì per lì il ragazzo non fa caso alla sua brutta cera. Ci sta, può capitare che qualcuno sia di pessimo umore. L’uomo, dopo aver gettato uno sguardo potenzialmente attento, e di fatto privo di concentrazione, sul panorama di sedili a disposizione, fra questi opta, probabilmente in una scelta random, per un sedile molto vicino a quello di Emanuele, ma la schiena di un posto tocca quella dell’altro, sicché questi due esseri umani non si vedono direttamente.
   Emanuele Nicola non vede lo sconosciuto, ma lo sente, soprattutto quando, in una conversazione telefonica che lo fa rabbrividire, minaccia la persona con cui sta parlando nella call. È una donna, è una sua ex, l’orco perpetra da mesi atti di stalking, facendo pressing affinché ritorni insieme a lui, lei non vuole, e oggi questo demone arriva a dirle “se non vuoi essere mia, non sarai di nessun altro, te lo giuro sul mio onore”. La voglia di spensieratezza di Manuel implode all’improvviso, il ragazzino abbandona il cazzeggio e diventa uomo, maturo ed eroico. Si allontana, si chiude in una toilette e chiama il 113.
   Come va a finire il suo S.O.S.?  Sventa un femminicidio, e per questo il Capo dello Stato lo nomina Alfiere della Repubblica. Complimenti Emanuele, piccolo grande campione.

Walter Galasso