![OUVERTURE AI GRATTACIELI, OMAGGIO AL BURJ KHALIFA [CITTÀ: DUBAI] OUVERTURE AI GRATTACIELI, OMAGGIO AL BURJ KHALIFA [CITTÀ: DUBAI]](https://www.romacampodeifiori.academy/wp-content/uploads/2025/04/Burj_Khalifa-1-scaled.jpg)
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DI WALTER GALASSO

Poetica, sublime, appassionata voglia di salire. Benedetta sete di altezza, pathos e pulsione che è sogno bello e non bisogno punto da basilare fragilità. Essere e dover essere, danza tra la realtà e il tetto delle aspirazioni che l’attraversano, seminando, nello spicchio di Universo in cui si è, uno speciale profumo umanistico.
Struggente l’anelito a migliorarsi quando la scalata, rivestita di colori serenamente simili ai fiori di Bach, sia drammaticamente caratterizzata dal rischio di errori che la facciano apparire malinconica, stizzita utopia. Ma, al netto di queste inevitabili sfumature di possibile frustrazione, tale Mission non diventi mai scontro fra l’individuo e sé, con la stessa negatività che ha, in “Les Fleurs du Mal” di Baudelaire, il contrasto tra bellezza poetica e una degradata corruzione della società. Sia sempre estasi, estate, (freudiano) es in frizzante tonalità emotiva questa aspirazione, bella in sé, con o senza una vittoria finale. Da giù a su, romantica corsa verso un Nord che è ieratico ideale, concettuale tempio di valore superno, calore di fede e fiducia nel progresso.
Quel progresso che ha educato, con amore scientifico, la zitta preistoria, pienissima di un siderale silenzio, un acustico vuoto che fu allegorico e amaro mare di cultura ancora non pienamente sbocciata. L’ha fatta crescere, fino a farla diventare memorabili gesta, festa della cosmica civiltà, indelebili pagine di prodezze. E in questa strabiliante traiettoria, galoppo ad maiora, ruggente evoluzione in mezzo a un imperiale caleidoscopio di fuochi d’artificio e di coriandoli festivi, l’altezza è sempre stata una voluttuosa icona di una Meta che mai fosse a metà nel suo attingimento. No, questa volta, lungo questo crinale avveniristico non vogliamo accontentarci nella vigilia del godimento. I sogni o si fanno bene e benissimo oppure è meglio rispondere alla domanda “tu a quale ceto appartieni?”.
Ceti? Classi sociali? Non si è mai vista una famiglia in cui la prole sia divisa in ceti, con una differenza tra sorelle e fratelli. Allorché guardiamo in alto, verso l’apice simbolico dell’Universo, siamo tutti e parimenti fratelli e sorelle, accomunati in un’ecumenica identità quando vogliamo viepiù progredire, perché ognuno può e deve sempre sapere di non sapere, e in questa dolcissima e gnoseologica umiltà siamo idem: tutti perfettibili, tutti nel dovere costante, eterno, di diventare migliori.
Questa etica e teoretica umiltà ci è suggerita da quelle remote e brillantissime stelle che ci fanno l’occhiolino durante il notturno riposo del laborioso mezzogiorno. E gli astri, tutti, dove sono? Lassù, sempre in alto. Il settentrione che rappresenta possanza, luminosa sapienza, trionfo del panorama ontologico. Oh issa! Solleviamo, in un’eroica performance, un difficilissimo peso, pondo grande quanto un mondo, tonnellate di invisibile densità, sintetizzate nella magica concisione d’una emozione: la gamma dei limiti. L’anelito ad aggiungergli qualità li rende tendenziali miti di un’avventura della psicologica spiritualità. Non importa quali frutti questo sforzo potrà generare, comunque ci sarà e lieviterà sapore nelle ore della tentata ascesa.
Piace la calamita della vetta, quella lungi promessa di un panorama universale. È bello agognare il punto di vista che consenta di abbracciare con lo sguardo la collettiva e fosforescente gamma di sostanziali dettagli. La megagalattica navicella spaziale che sfreccia nel cosmo come un bolide innamorato di un voyage metafisico, e l’aereo che ammansisce i dispetti geografici dello spazio, e l’équipe di aquile che lo guardano per fargli capire che lui discende dalle loro naturali ali, e ogni esempio di connubio con un desio di alta quota sono casi particolari di un’idea assolutamente unica, un Valore che si realizza anche quando una lucertola alza la testa, con uno scatto carino, per monitorare meglio la sua situazione: l’istanza di maggiore e migliore altitudine. Questo è l’adamantino, immateriale paradigma, e regna nel senso dello studio, e poi ci sono i casi particolari in cui il suo gusto culturale si cristallizza in vario modo.
In origine fu la georgica e bucolica serenità della campagna. Poi sua compagna è diventata la moderna città, e come serenata all’ambiente il suo cheto silenzio è stato sostituito dal musicale tourbillon metropolitano. In questa situazione a un certo punto è emersa una spettacolare fattispecie del razionale culto dell’altezza: il grattacielo. La casa, semplice cosa fra le altre, anche quando sia insieme ad altre similari abitazioni in un normale palazzo, in uno skyscraper diventa titanico monumento, Evento, vento di avanguardia dentro la fissità della sua maestà.
Emana dalla sua possanza un non so che di speciale, unico. Ogni sua singola parte si trasfigura nel verticale show del suo olistico insieme. E la sua immagine, emblema dernier cri di Potere urbano, incute amichevolmente soggezione, giganteggia in confidenza con le nuvole, dà del tu a un fascino proibito altrimenti. Nel verbo “grattare”, riferito nientepopodimeno che al cielo, è già, in estrema e cardinale essenzialità, il succo della sua supremazia urbanistica.
Un modello di variegata utilità, inclusivo anche, con intelligenza edilizia e postmoderna, d’una capacità salvaspazio, ché verso su non sussiste tendenzialmente un plafond che urti, con il suo antipatico ‘entro e non oltre’, l’umana voglia di libertà, mentre in orizzontale la dimensione della città è meno tollerante, impone paletti, obbliga a fare i conti con i condizionamenti di chi deve ottimizzare ogni ettaro.
Ma questi asset a livello utilitaristico sono un pro incommensurabilmente meno importante rispetto alla ‘pièce de résistance’ nella sua vasta gamma di attributi, cioè, e appunto, il suo fascino estetico e tutta la ghiotta massa di trionfali simboli legati, in modo bellamente consustanziale, alla sua altezza, sia fisica che metaforicamente metafisica. I grattacieli di un territorio urbano possono regalare ai suoi abitanti un senso di eccitante orgoglio. Fanno sembrare un Comune niente affatto comune, lo elevano a luogo in, forte, cool, futuristico. E in questa trasmissione di fierezza è probabile che giochi un importante ruolo proprio la suddetta poetica dell’altitudine come espressione della brama di oltre, di altro, di un orizzonte che sia avanti e laggiù. Su quella fulgida frontiera fra norma ed eccezione, fra oggi e domani, fra tempo ed Eternità, la loro immagine detta armonicamente legge.
Voglio celebrare siffatta importanza, e non posso non iniziare dal fantastico “Burj Khalifa”, il grattacielo più alto del mondo, il solenne ‘imperatore’ della bellissima città di Dubai, l’umana montagna che sulla sua vetta vede meno lontano il Sole. Nel presente omaggio, ‘ouverture’ foriera di ulteriori approfondimenti, saluto con ammirazione questo magnifico e futuristico titano.
Walter Galasso