![RISPETTO A SENSO UNICO [Bozzetto 33; I RUGGITI DI LEO TIGRE / RUGGITO 9] RISPETTO A SENSO UNICO [Bozzetto 33; I RUGGITI DI LEO TIGRE / RUGGITO 9]](https://www.romacampodeifiori.academy/wp-content/uploads/2025/04/20241011133043-1_copy_1818x3231-scaled.jpg)
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DI WALTER GALASSO

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[SCRITTO DI WALTER GALASSO; LEO TIGRE È AUTORE DI RUGGITI CHE FUNGONO DA COLONNA SONORA DEL RACCONTO]
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Ondeggia, fra caso generale e progetti individuali, una brulicante moltitudine in uno spazio urbano all’avanguardia. Vincenti e perdenti e chi non ha ancora capito se abbia vinto o perso o pareggiato. Galoppano, talvolta bradi, pensieri in invisibili fucine sotto capelli.
Sciami di visitatori, con gli sguardi pieni di curiosità d’ordinanza, istanza di relax e divertimento conficcata nell’ombelico della psiche come una bandiera nella punta di un monte dopo che un eroico scalatore si sia abbarbicato con atletico coraggio sul suo mistero, off limits per altri. In qualche globe-trotter il viaggio turistico ha il sapore di un saporito slancio verso un ricreativo dovere d’aggiornamento. Anela a esperienze mondiali in più nel curriculum, a un cazzeggio didattico, a un tuffo edificante in un altrove senza gocce di pelago.
Show di superficiali sorrisi, facce non tanto da galera quanto da film, scarpe che maledicono i padroni per aver comprato proprio loro prima di una sfacchinata epica, e sgargiante varietà di vestiti, mentre parte una parolaccia in vernacolo dalla bocca di un indigeno che pensa d’essere e d’apparire maggiormente, così facendo, un tizio del posto. Siamo, nella storia universale del Tempo, quasi alle soglie del Quattromila -ognuno è padrone, nella creatività, del potere d’attribuire a ‘quasi’ il significato che più gli piaccia, e io nella libertà talvolta mi sento come un delfino che giochi nel mare e mentre salta par che sorrida-. Ciò nondimeno, ancora nella mentalità di molti non è stata recisa, a livello concettuale, la presunta importanza del metaforico cordone ombelicale tra una persona e il posto dov’è nata. Conosco un immigrato, un londinese, di anni 723, che è venuto in Italia quando era teen-ager: ancora molti lo reputano un forestiero. Scorrazzano, in un’atmosfera che comprende ossigeno in avaria e idee andate a male, pregiudizi beceri, che ai motori del Progresso nulla danno e daranno se non la possibilità di pensare “portiamo avanti il mondo nonostante loro”.
E intanto entrano in uno store di libri, legato a una nota Casa editrice, potenziali clienti che lì dentro, nell’ovattata atmosfera di quell’aristocratica bottega, credono di sublimarsi, di crescere, di fare un performante salto in avanti nella loro tenace spinta verso un’evoluzione glamour.
Su quei metri quadrati, suolo su cui si vende l’illusione di un volo pur senza vere ali, c’è pure, dentro un’uniforme che lo fa sentire un qualcuno, un vigilante con la faccia da duro, un tipo abbastanza stronzo -non me ne voglia, non ne ho citato le generalità, evito di ferire la sua difensiva suscettibilità-, avvezzo a guardare in cagnesco chi, a suo insindacabile giudizio, possa essere o diventare un potenziale autore di taccheggio. Questo sceriffo, Gino Aironi, forse sogna, in uno degli angoli migliori della sua psiche -in quelli peggiori nemmeno sa sognare- che nella Giustizia i famosissimi tre gradi di giudizio siano sostituiti dai suoi intuitivi sospetti. Perché è stato assunto? Che domande!: per l’efficace buona parola di una raccomandazione interna agli usi e costumi del mainstream. Appare evidente che un tipo così possa tranquillamente prendere un granchio. Possa, per esempio, scambiare per possibile bandito pure Ettore Troppobuono, un avventore di questa bottega, fedelissimo, in questo momento intento a varcarne la soglia, con atteggiamento gasato e cera ispirata.
Ettore, detto talvolta ‘Et’ da qualche pseudoamico col vizietto di esercitare nella vis comica uno spirito di patate, stima questo brand -una Casa editrice con molti e noti punti vendita- con un rispetto che rasenta l’idolatria. Ogniqualvolta mette piede in questo esercizio ha la sensazione che il suo Io sia nel bel mezzo di una crescita della sua reputazione. Della serie: Entro, dunque c’entro (nel gotha dei fichi, e non d’India). Non mi perito di scrivere che costui, in questi mezzi risultati della sua fantasiosa illusione, la fa facile. Perché per crescere davvero, dentro questo tempio trendy, dovrebbe come minimo aprire tot benedetti libri e studiarne qualcuno con zelante acribia. Lui invece, amante di scorciatoie che lasciano quasi tutto il tempo che trovano, crede che basti esserci, avere i piedi su questo parquet chic, sfogliare qualche pubblicazione, leggendo a malapena qualche decina di estrapolate parole, per essere protagonista e beneficiario di un esaltante processo di crescita esponenziale.
Da sempre ultrà del concetto ‘carta canta’, ha voluto, va da sé, munirsi della istituzionale Card, una carta fedeltà, simile alla Carta d’Identità Elettronica, e con il logo della spettabile Casa sulla cover. Questo densissimo oggetto include pure una Tessera Sconti, ma nel bene che gli vuole Et ‘sto utilitarismo è solo l’ultimo dei motivi. Paragonando al viaggio di un veicolo il suo viscerale attaccamento a questo marchio, e a tutte le propaggini che si articolano intorno al suo core business, è possibile sostenere che il carburante nel serbatoio sia la sua voglia di sentirsi uno in qualche modo ‘interno’, almeno come lo è l’impettito vigilante -che, se tanto dà tanto, ha un bagaglio culturale ventisette volte inferiore al suo-. Con la tessera nel portafogli, ogni tanto accarezzata da una sua mano quasi con atomi di affetto nel tatto, non si sente un estraneo.
Peccato che, ‘interno’ essendo una parola grossa, qui dentro neanche il lavoratore addetto alle pulizie se lo fila proprio, figuriamoci dunque quale indifferenza possa essere sparata contro di lui dagli alti papaveri dello stato maggiore. Ho scritto ‘figuriamoci’, e adesso calo un asso nella manica per lumeggiare in modo concretissimo e chiarissimo, con una corpulenta prova a tre dimensioni, questo snobismo.
Lui in questo negozio ha versato, dalla prima volta in cui ha fatto dotto shopping, la bellezza di 10.024 euro: una prova d’Ammore. Il suo trasporto è arrivato a immolarsi l’anno scorso. La Casa, quando un gettonato Autore, molto influente nei suoi piani alti, ha messo nero su bianco un suo ameno bla bla col nipotino, iscritto all’asilo, ha pubblicato la non memorabile opera, perché a Lui, l’Autore ad ella caro, dire di no è eresia. Et ha comprato pure ‘sta illustrissima fetecchia: è quanto dire. Egli è dunque un ultrà della Curva, un innamorato doc. Lo stesso signor Troppobuono è pure, in un’altra sua veste, un aspirante scrittore. Ultimato un romanzo, l’ha inviato a questa Casa, che non ne ha letto neppure l’incipit, perché lei a priori ignora gli esordienti -a parte il nipotino di Sua Eccellenza-. Nonostante questo affronto, che ne ha ferito l’animo, lui oggi è ancora qui, irriducibile protagonista di un rispetto assolutamente unilaterale.
Forse dovrebbe avere, come certi nobili, due cognomi, chiamandosi, per esempio, Ettore Troppobuono Grullo. Mentre non c’è un ‘forse’ prima di quello che voglio dirgli a proposito del suo romanzo: amico Ettore, ignora quel rifiuto, effetto di chi non sa fare il suo mestiere, e continua a provarci, non arrenderti mai, ché la tua opera, perché no?, può essere un capolavoro.
Walter Galasso
Un atto di verità e di grande coraggio. Come sempre. Grazie Walter Galasso!