“CARBON DIOXIDE & CALATHEA MAKOYANA”:  A GORLE, SU UN CAMPO DI BASKET, LA STREET ART DI FABIO PETANI   [Comune:  GORLE  (BERGAMO);  1 giornale italiano  (PRIMA BERGAMO)]

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“CARBON DIOXIDE & CALATHEA MAKOYANA”:  A GORLE, SU UN CAMPO DI BASKET, LA STREET ART DI FABIO PETANI   [Comune:  GORLE  (BERGAMO);  1 giornale italiano  (PRIMA BERGAMO)]

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DI WALTER GALASSO

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   Lettere e Filosofia, lo studente universitario Fabio Petani si abbevera a fonti alte, alza sempre l’asticella, non si limita ad assimilare saggi e manuali e tomi e calepini solo per superare un esame, ma s’innamora della Scrittura dei grandi pensatori, ne mutua insegnamenti che fanno pienamente maturare i teoretici semi già presenti, a livello congenito, nel suo DNA.
   Nel Bildungsroman, per così dire, di Fabio, inquieta soggettività in fieri, vi è, dal punto di vista della passione culturale, un’interessante peculiarità, strana solo in apparenza. Lo studioso di filosofi e romanzieri e poeti è anche un asso di disegno. Pittore talentuoso, sia su un piano tecnico che nell’intensità speculativa della sua forma mentis artistica, il poliedrico giovane, in questo arco cronologico di sgobbate torinesi, ospita in sé, nel proprio onnivoro intelletto, un’osmosi tra branche diverse del sapere. Sulla base della priorità, nei suoi sentimenti culturali, dell’arte, egli attinge al magistero di guru filosofici una forza spirituale che porta acqua al mulino della sua originalità pittorica, e altresì alla sua voglia, quando partorisce un dipinto, d’informarne la genesi a un profondo principio teorico.
   Gli studi accademici entrano nelle sue vene, iniettano nella sua personalità scopi di serie A. Per esempio arricchiscono, nel suo lavoro di pittore, la sua innata ammirazione per la dimensione della flora, abbinandola con il progetto, quando raffigura una pianta, d’infondere nell’opera un non so che di ontologico. C’è modo e modo di disegnare un vegetale. Lui non può limitarsi a voler eccellere nel parametro della verosimiglianza, anche perché è diventato, strada artistica facendo, un writer, un atleta dell’Urban Art, e come tale è alla perpetua ricerca, nell’abbellire l’ambiente con un murale, di un fine poetico. Affinché egli possa sprizzare soddisfazione da ogni atomo del suo stato d’animo un suo disegno deve certamente essere bello, ma nel contempo deve pure avere un senso e un significato filosofici.
   Imperativo categorico numero uno: nella sua visione pittorica del mondo da un lato un’opera, speculare della precisione scientifica, ha da includere esattezza, anche a livelli di inusuale acribia; da un altro questo dettame si deve sposare, in un exploit che è quasi un ossimoro, con un’interpretazione genialmente libera -in modo sia narrativo che poetico- della quintessenza botanica delle piante al centro d’ogni scena.
   Il criterio della verosimiglianza? Bene, bravo, bis!, anzi Fabio lo rispetta in un’ottemperanza esponenziale, perché ha la caratteristica di etichettare ogni dettaglio fitomorfico d’una sua creatura con un nome precisissimo, non di rado inerente alla nomenclatura tassonomica ufficiale, e pure, spesso e volentieri, in latino. La matrice tecnicamente umanistica della sua poiesi, quindi, non solo non costa un’overdose di gratuita astrattezza nelle sue composizioni, ma è sempre in simbiotico connubio con l’esigenza di permanere in un rigoroso ambito scientifico. Questo atteggiamento, però, è solo il cinquanta per cento della sua mentalità. Il parnassiano writer, infatti, pone ogni volta in essere, quando dà alla luce un graffito, anche una pregnanza speculativa dei protagonisti green della composizione -piccoli fiori o titanici baobab, un umile prato o uno sfarzoso giardino d’una reggia: non importa, il concetto è sempre lo stesso, la fa comunque da padrona l’importanza ontologica della Natura-. L’artista veicola sempre un concetto etico e poetico quando dipinge, magari mentre dedica a un filo d’erba una raffigurazione così rispettosa da sembrare il ritratto d’una regina fatta da un pittore di corte.
   In questa addizione egli non può non alterare, all’insegna di un soggettivismo gravido di motivazioni oggettive, la primigenia forma di ciò che descrive, una guisa che, se fosse rappresentata in una pedissequa precisione, come quella di un clic fotografico, sarebbe solo scienza e zero poesia. Il campione Petani, che gira mezzo mondo per lasciare variamente il segno con i suoi affascinanti graffiti, in essi cerca così di coniugare aspetti che per un collega meno bravo costituirebbero polarità antagonistiche. Le sue piante sono sì precise, chiamate nientepopodimeno che con il loro nome in latino, ma sono pure leggermente trasfigurate dal pittore-pensatore, che ritocca vagamente la loro immagine in una personalissima geometria, e sovente sfuma la loro vivida tonalità cromatica in una tenuità di colori che serve a rendere piante e fiori e alberi dei messaggi di sensibilità metafisica.
   Fabio Petani vuole enfatizzare, in ogni nuance della vegetazione, l’estetica funzione di icona della salubre positività dell’Essere. Vuole perorare appieno l’istanza della sostenibilità, presentare ogni vegetale come un simbolico contraltare all’inquinamento, così dell’ambiente come della cultura in senso lato.
   La Natura è Vita, Valore, pienezza di senso, e può meglio ipostatizzare queste virtù, come protagonista di un masterpiece artistico, se questo sia pieno d’interfacce con la quotidianità: un’impostazione che palesemente denota, nell’artista, la sua indole di situazionale writer. È in questo background che si radica una sua fatica del 2021, “Carbon Dioxide & Calathea Makoyana”. Paiono paroloni. Qualcuno, a digiuno del ‘core business’ artistico di questo pittore, può sospettare che lui, qual graffitista voglioso d’épater le bourgeois, li abbia usati per prendere in contropiede i pregiudizi d’un reazionario parruccone che veda in ogni artista di strada un giovinastro. E invece no. Il nome è contestuale alla precisione epistemologica di cui sopra. Fabio ha narrato perfettamente, in questo suo lavoro, l’inseità botanica di piante, e/ma ha aggiunto alla scientificità un set di doti culturali.
   Ha istoriato con la sua opera un campo di basket, in quel di Gorle, vicino Bergamo, nel perimetro ideale dello StreetArtBall Project, imperniato su un abbraccio fra street art e sport, nella Provincia della bella città, al fine di promuovere e catalizzare una squisita bonifica dei tessuti sociali. Mission tale e quale, mutatis mutandis, alla pianta in oggetto, specializzata nell’emendamento igienico dell’atmosfera. Quel court è spazio di divertimento e aggregazione, chance gratis e avvincente, la situazione generale del dipinto è una libertà en plein air, senza alcun diaframma fra dispari dimensioni e, ultimo dato ma primo come gli altri per importanza, vicino alla struttura si distende un parco dove sono stati piantumati i cosiddetti ‘alberi della vita’, regalati poeticamente dall’Amministrazione a ogni famiglia con un neonato, dunque simboli green, a tutto tondo, di futuro, di Tempo radioso.
   La Calathea Makoyana dell’Urban Artist assimila, nella sua sublime e delicata espansione orizzontale, tutti questi preziosi significati, donando a Gorle, una delle tante perle della Bergamasca, i frutti di un estro ch’egli ha già estrinsecato a livello internazionale.
   Se qualcuno metta sul campo di basket una grande lente d’ingrandimento, frutto d’una fantasia al potere, forse percepirà in filigrana, tra le foglie, la scritta ‘Lettere e Filosofia’…

Walter Galasso