HA VISTO LEI CHE SCHIFA LUI CHE LODA LUI CHE…   [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’INFINITO / 17]

HA VISTO LEI CHE SCHIFA LUI CHE LODA LUI CHE…   [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’INFINITO / 17]

HA VISTO LEI CHE SCHIFA LUI CHE LODA LUI CHE…   [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’INFINITO / 17]

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DI WALTER GALASSO

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   In un bar ibrido, orribile come estetica delle masserizie e livello del complessivo design, ma ubicato in un’ottima posizione urbanistica, Giacomo, il calvo e scontroso figlio di Amelia, la proprietaria, cazzeggia dietro la brulla cassa. Il vitellone, in balia della sua gran voglia di un edonistico dolce far niente, usa ossessivamente il suo smartphone, con un’attenzione degna di miglior causa, e smanetta. Il suo sguardo, vagamente allucinato, pare ipnotizzato dal display ad alta definizione -il dispositivo è un fulgido gioiello di high-tech e costa un occhio della testa-. Non riesce proprio a distoglierne la vista, anche se il contenuto della sua percezione è uno show a bassi livelli, con molte sfumature trash.
   Entra nel locale, con atteggiamento involontariamente pimpante, un cliente, Marco, che poco fa ha avvertito l’uzzolo di un fragrante espresso. Saluta la comunità degli astanti, e a malapena essi ricambiano la cortesia. Tenendo a fare il bravo ragazzo, l’utente ammodo, la persona che prima scuce quattrini e si procaccia uno scontrino e dopo consuma l’ordinazione, si dirige verso Giacomo, il quale, però, continua a fare quel che sta facendo, non alzando nemmeno la testa, sempre calamitato, in una deplorevole coazione a ripetere, dal suo piccolo computer.
   Marc, con la santa pazienza, aspetta che il loffio concittadino si degni d’inserirlo nel raggio d’azione del suo apparato sensoriale. Finalmente ciò accade, gli occhi del ‘mezzo’ proprietario si dirigono verso le pupille dell’ospite, che ordina, ode “due euro e dieci centesimi” e mette la cifra esatta nell’apposito piattino. L’interlocutore, però, ritorna a seguire lo spettacolo in diretta nell’intelligente e superdotato telefono: aridaje! Costui è davvero un minchione travestito malamente da esercente. Marco, pensando ‘chi più ne ha più ne metta’, gli dice “scusi, ho messo nel piatto i soldi”, e l’altro “ah, sì, grazie”, e acciuffa, con uno scatto fulmineo di un suo arto, il denaro. Il cliente, dopo aver bevuto l’eccitante bevanda -con l’uso di zucchero light, perché sta a dieta, anelando a una magrezza da atleta-, esce dal vano vano -uno dei due è un aggettivo, e significa che l’uomo si è pentito di aver dato fiducia al sostantivo-. Quando varca la soglia dell’esercizio una parte di lui, in bilico tra coscienza e inconscio, pensa ‘probabilmente in questo cesso di posto non rimetterò mai più i miei piedi’.
   In questo preciso momento si trova in una piazzetta molto conosciuta, quantunque non bellissima, presente anche in diversi Baedeker turistici. Nel cielo fanno casino, con ritmica e possente roteazione, le pale di un elicottero militare. Un simpatico e pregiudicato vu cumprà -ha scontato, nel suo barricadiero passato, complessivamente tre anni di galera, per aver chiesto maggiore democrazia, prima di emigrare dalla sua patria, in cerca di fortuna doppiamente legale- spera di vendere qualche parte del bric-à-brac che ha sistemato su un traballante tavolo, la sua imperfetta bancarella commerciale. Spera, ma non fa nulla per alimentare razionalmente la sua speme economica. A parte il suo atteggiamento poco impegnato a livello lavorativo -sembra quasi che voglia prendere il sole in uno stabilimento balneare-, egli sbaglia, a livello professionale, nel suo sguardo incazzato e vagamente altero. ‘Sta mutria non giova certo alle sue chances di attirare polli a cui sbolognare qualche fetecchia, gabellandola per merce rara.
   Un suo connazionale, pure lui della bellissima Africa -i due sono in pessimi rapporti, a stento si salutano-, sistematosi a una trentina di metri da lui, sta suonando un enorme strumento e, agli antipodi del primo come indice di affabilità, sprizza cordialità da tutti i pori. Costui, un autentico vatusso -la sua straordinaria altezza si nota palesemente anche quando il marcantonio è seduto-, ha un bizzarro outfit, uno stravagante abbigliamento che lo aiuta ad attirare l’attenzione. Suona, con camuffata monotonia, lo stesso brano da cinquantadue minuti. Siccome cambiano le parole che escono dalla sua bocca, alcuni casuali spettatori pensano ch’egli stia eseguendo diversi pezzi d’un ricco repertorio.
   Un turista con un’ideologica puzza sotto il naso, un francese che è un sanculotto dei giorni nostri, si ferma e ostenta concentrazione e ammirazione verso questo protagonista. Il linguaggio -zero parole e mille significati- del suo atteggiamento non permette alcun dubbio, nemmeno se sia osservato dal re degli scettici: lo spettatore sta tributando all’attore un’apologia (non religiosa). Lo reputa più in gamba di Elvis e i Beatles messi insieme.
   Questa overdose di stima può apparire, in ultima analisi, un ‘rosso’ omaggio a chi rosso, nel senso di ‘comunista’, non è. Per esempio la signora Adelaide Argiso, elitari quarti di nobiltà nel suo ‘pedigree’ -ormai non è più un’offesa-, oggigiorno titolare di una boutique. A questo profano mestiere è stata indotta dalla sua voglia di stare spesso in un flusso di gggente, per non sbadigliare nella noia della sua reggia, ricca di sfarzo ma povera di effervescente umanità. La sua bottega, molto chic, frutta poco ed è un paravento. Nessuno fraintenda, questa definizione non allude a nulla di illecito. Ella non è certo rotta al riciclaggio di denaro sporco, né ospita, in un occulto retrobottega, criminose conventions di bandoleri, intenti a spartirsi il bottino dopo un colpo in una filiale bancaria. L’esercizio ‘para’ nel senso, appunto, che lei lo gestisce più per divertirsi, o almeno svagarsi, che per guadagnare.
   Quando si diverte? Verbigrazia quando passa un giovane che le piace e lei lo squadra con l’aria della zia che se, puta caso, ci scappa un’incestuosa sveltina, mica poi se ne pente…
   Quando si svaga? Per esempio adesso, mentre assiste alla sinistroide sceneggiata del pronipote della Rivoluzione francese. Lei, e che ve lo dico a fare?, non è di Sinistra, anzi le è allergica. Sull’uscio del suo emporio, senza che viaggi una parola nel tragitto “corde vocali – denti rivestiti così geometricamente da fare paura – labbra al silicone”, fa comunque capire, con un eloquente sguardo che non perdona, il suo disprezzo alla seconda. Disprezza l’uomo di colore -che lei non chiama “fratello” nemmeno quando, ogni tanto, alza il gomito per ricordarsi di dimenticare-, e disprezza quel progressista cittadino d’Oltralpe. ‘Tu, amico del Sole -nel suo mumble mumble lo sta prendendo a male parole-, non stai bene, fatti visitare da un dottore. Quel negro è uno zero, ma tu, che fai finta di ammirarlo, sei più coglione di lui. E se non fai finta, sei da neuro’. Brrr…
   Si accorge di questo spregio Marco. Il francese guarda l’africano, la madame guarda e schifa il francese che guarda e loda l’africano e Marc guarda Adelaide che guarda il parigino che guarda l’extracomunitario. L’ex cliente del bar da operetta intuisce al volo il senso di ognuno di questi personaggi, prova un istintivo desiderio di decidere da che parte stare -se dare ragione alla donna, che reputa l’africano il contrario di Mozart e il francese un folle comunista, o a quest’ultimo, democratico radical-chic-.
   In questo ruolo di arbitro on the road è condizionato da ciò che gli è capitato poco fa. Lui è stato infastidito sia dal barista lavativo che dal rivenditore ambulante, che lo ha guardato male come se l’uomo bianco avesse gridato “Abbasso le frontiere colabrodo e Kunta Kinte, evviva la schiavitù dei neri, peccato che l’abbiano abolita”. Sulla scia di questa uggia adesso, pur provando antipatia sia per Adelaide che per il dem, li sente meno peggio dei due antieroi suddetti e assolve sia lei che lui, pensando che ognuno sia libero di avere le proprie idee…

Walter Galasso