GUADAGNARE CON UN PUBBLICO ESERCIZIO [Colore di fiori tra un poker e un talent – Introduzione]

DI WALTER GALASSO

Un pubblico esercizio, rischio di stress se le uscite, necessarie, superino le entrate -nemmeno probabili, solo possibili-, ergo se fosse un libro la parola ‘business’ in esergo. Il suo titolare, Ernesto, la userebbe pure nell’incipit e nell’explicit. L’uomo è d’accordo con il Gallina, il denaro è ‘La base de tuto’. Unico errore del commediografo: l’eccezione del Nobilomo Vidal, bastian contrario convinto che “la base de tuto, a sto mondo xe volerse ben”, se la poteva risparmiare. Ma ci pensa Giudita a dargli la lezione che merita, “Ah! Caro lu, i soldi xe la base, i soldi xe el capo essenzial! Altro che storie!”. Chi ha fatto più proseliti, Giudita o Vidal? Domanda retorica. Money, it’s a gas… Money, it’s a hit… I Pink Floyd, decisamente più cool di Giacinto e del suo Vidal, sono stati chiari nella nota canzone di ‘The Dark Side of the Moon’ e si sono allineati con lei.
Con uno strumento che s’impicci di privacy, preso in prestito dalla fantascienza, atto a misurare, in una scala di valori da 1 a 10, i sentimenti, si potrebbe appurare che il Nostro ama 5 la Destra e 10 (e lode) la propria ricchezza; odia 6 la Sinistra e i suoi derivati, 10 la propria povertà -diciamo 10 meno, così nessuno può pensare che sia un arpagone-. San Francesco? Brav’uomo, per carità, però per il barista ha esagerato, forse era affetto da un pizzico di masochismo -sia detto, va da sé, con tutto il rispetto-. Senza nulla togliere al credo politico, nella mentalità di Ernesto ‘W la bazza!’ è uno slogan nel DNA, e matto è chi pensi il contrario. Costui arriverebbe a votare un ministro sanculotto se ‘sto rosso mandarino lo aiutasse a vendemmiare quattrini? Mah, difficile stabilire se pure lui militi nel Movimento ‘o Franza o Spagna, purché se magna’, by Guicciardini. Questo quadrato attore sociale di fatto è ‘hybrid’. In lui ci sono una polarità junior -idealista e poco potente, proprio come un adolescente-, che tiene a perorare le proprie idee culturali -essa rappresenta la parte dell’animo che non inquina la coerenza- e una senior, quella che comanda, poco romantica e tanto pragmatica, oltremodo sintetica nel credere che tutti i valori si riducano in ultima analisi a uno: guadagnare.
Il suo idolo? Né Platone né Dante, né Michelangelo né Mozart, e men che meno Einstein, quello del pistolotto “Money only appeals to selfishness” -Il denaro richiama sempre l’egoismo? Qualcuno gli avrebbe dovuto dire ‘Scienziato pazzo, ma in che mondo vivi?’-. Il suo feticcio numero uno è un mercante, il non plus ultra a livello intercontinentale, che si è procacciato così tanti conquibus -arricchimento da favola con passi da gigante record- da permettersi, come ennesimo status symbol, uno yacht lungo la bellezza di metri 297 (duecentonovantasette). Circola un aneddoto. Quando un amico gli ha fatto notare, per fare due battute, che nel 2013, la sua nave non essendo ‘Panamax’ per tre metri di troppo, non avrebbe potuto navigare nel Canale, il sardanapalo, per farne tre e dire, come sempre, l’ultima, ha risposto “No problem, mi sarei comprato tutto il Canale e avrei cambiato le regole”. Che mandrake!
Pure Ern, come Martin Luther King Jr., ha un dream, che però dista anni luce da quello del Premio Nobel, consistendo solo nella speranza, dopo aver inaugurato il suo locale, di farlo diventare un punto di riferimento, stracult, per un’oceanica clientela. Anzi no, forse un denominatore comune fra i due sogni c’è, sia pur minuscolo, invisibile a occhio nudo. La trama dell’anelito del barista è infatti ‘tutti pazzi per il regno d’Ernesto, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, eccetera eccetera’.
Coatti teddy boys -maschi alfa così beceri che di più solo nei film B-movie- e figli di papà dei quartieri bene, imbranati e cucador, fighetti e fricchettoni, squinzie sportive e giovani donne in carriera. Graditi, in modo trasversale, tutti i verdi guaglioni della Gen Z, ancora in gara per diventare, perché no, potenti come il boss della Casa Bianca, ma tempo al tempo, adesso devono cazzeggiare, e lui spera lo facciano lì. Bene inteso: è il benvenuto anche qualche baby boomer, che peterpaneggia negli ‘anta’ e che del Presidente USA invidia pure l’età dei nipoti. Qualche, però. Diciamo una spruzzata di minoranza sulla caciarona maggioranza, ché chiedere al Fato molta Generazione X ai suoi tavoli potrebbe risultare un boomerang. Ad abbondare, affinché il suo regno sia davvero un trendy tempio di movida, devono essere ragazze e ragazzi. E se la movida degeneri in malamovida? Transeat, non si può avere tutto, ci manca solo il moralismo nel core business, e poi sì che un imprenditore è bell’e fritto. Chi se ne frega se i giovanotti se le diano di santa ragione in una rissa da far west, bullizzino in branco un fregnone, inizino a svuotare il cervello di alcol facendo pipì en plein air, e altre oscenità, basta che prima abbiano scucito schei in qualche ordinazione, coi palmari comande o urlando ‘garçon!’ con castagnetta trash -dito medio che, in pressione su pollice, sbatte sulla sua base, magari in un’oscillazione dell’intero avambraccio, suonando lo schiocco intitolato ‘Io big, tu schiavo’-.
Nella mission di quest’uomo, però, a parte l’avidità di denaro, ci sono pure la romantica passione nel guardare il suo locale e sentirlo un riflesso della sua personalità, volendogli un po’ di bene, e il merito di dover affrontare e superare, nel perseguimento di un gratificante guadagno, tanti ardui ostacoli. Un esercizio commerciale è un microcosmo di vendite, e/ma ha tante altre sfumature di senso e di significato. La sua fondazione, che nel caso di Ernesto non è immune da una venalità fine a se stessa, implica sempre avventura, spirito d’iniziativa, dionisiaca intraprendenza e apollinea saggezza, istanza di libertà -cioè la fiera gioia di dipendere solo da sé- e, last but not least, coraggio, per le numerose difficoltà ch’esso implica. Ern, poverino, ha rischiato di andare in burn-out già nell’aurorale fase della sua esperienza, fra l’inquieta vigilia del debutto, in un conto alla rovescia gravato da venti di ansia, e la delicata start up della sua creatura, fresca d’inaugurazione e calda per la scottante fifa blu del timoniere. Gli è stato subito chiaro che in questo job, sfida senza garanzia, agli antipodi delle goduria e libidine nella greppia chiamata ‘posto fisso’, è d’uopo una tonnellata di resilienza. Il loffio compagno di scuola di Venditti, quello che è entrato in banca, sarà pure che non si è salvato, ma la sua busta paga, yahoo!, è un ghiotto bengodi.
Prima nota dolente: il canone di locazione. Una pigione monstre, una vera prigione, sole insaccato nell’umore, ogni mese nel dindarolo del proprietario -un doppio porcellino, il salvadanaio e quell’impune usuraio- tanti soldi, sufficienti a comprare uno scooter di ultima generazione. Per tanti negozianti non è morale la rendita parassitaria e crudele di chi, padrone di tot metri quadrati, magari in ottima ubicazione, fa la bella vita senza muovere un dito, salassando l’inquilino con un fitto di migliaia e migliaia di euro. In un romanzo legato alla Confcommercio il protagonista, il sindacalista Rocco, in un j’accuse contro il caro fitti non calmierato, conciona in un comizio: “Potere, se ci sei batti un colpo! Suvvia, intervieni, troppo laissez faire sta male, non pigiare sempre ‘on’ sulla deregulation, proteggi il commerciante, ché nessuno può sentirsi davvero felice se non lo sono tutti”. Ovazione della folla, toccante esempio di tranche de vie.
Guaio numero 2: sul capo, come spada di Damocle, il rischio che da un momento all’altro si materializzi sull’uscio un figuro, e voglia, come dire?, offrire una polizza assicurativa. Al Nostro, purtroppo, è già capitata una tale disavventura. Un giovinastro noto nel quartiere. Ern si è confidato con un amico, Giuseppe, che conosce di vista quel tipo. Beppe, per rincuorarlo, gli ha detto che, al netto dell’indubbia negatività dell’evento, quel deviante è un pesce piccolo, non certo un boss nel racket delle estorsioni. Un pesce piccolo, eh… ma per caso un piranha ha la stazza di un sommergibile? Spesso non arriva a 10 libbre di peso ed è lungo 35 centimetri -un televisore di 14 pollici oggigiorno può fare schifo pure a chi nel SUV voglia una vistosa dose di strumenti hi-tech-. Eppure è peggio mettere un dito nei suoi paraggi che fra una moglie e un marito. Figuriamoci che guaio se a taglieggiare un esercente sia una balenottera azzurra della mala.
E vogliamo parlare delle tasse? O in escapismo è meglio rimuovere e giocare a scopone scientifico? Ern le odia, le vive come una persecuzione da parte d’un sistema Moloc, che ruba cesoie ai giardinieri e le usa per tarpare le ali ai commercianti. Il mariolo che col piede di porco forza una porta e frega grisbi a base di argenteria e gioielli -occultati, invano, in un fustino di detersivo- per molti bottegai è, rispetto all’erario sanguisuga, un cattivo che s’accontenta. A Ernesto sfugge buona parte del loro perché. La ragione di così tante e così esose imposte è un groviglio di rebus avvolto in una matassa di enigmi incapsulata in un banco di nebbia. Duemila preoccupazioni, anzi duemilauno. La protesta contro la loro negatività, che secondo il suo polemico cervello rende a priori una corsa ad handicap il galoppo ad maiora di un onesto lavoratore, è un suo chiodo fisso, un leitmotiv del suo qualunquistico ribellismo. Il mese scorso una coppia di amici, Anna e Paolo, ambedue docenti in un liceo, ha invitato a pranzo lui e la sua signora. Domenica, senza la frizzante febbre della sera precedente, ma pure senza il lavoro dei giorni feriali. Bisognava rilassarsi, parlare di amenità, e invece Ernesto, carente di bon ton, a un certo punto ha attaccato il pippone su imposte balzelli e mazzate varie. Il prof ha avvertito il dovere, dall’alto della sua cultura in più, di contraddirlo, sia pur con le buone maniere di una sana dialettica, e d’iniziare a spiegargli la loro equa razionalità e perché bisogna pagarle. ‘Sto saccente fervorino ha irritato l’ospite, che “è facile, nella bambagia d’un posto statale, difendere il sistema, vorrei vedere te costretto…”. Bambagia a chi? Paolo non ha gradito, “non ci sto, caro Ernesto -falsissimo l’aggettivo, avrebbe voluto lanciargli addosso un cavaturaccioli con cui aveva poco prima aperto una bottiglia di ‘Est! Est!! Est!!! di Montefiascone’-, ti faccio presente che noi, dopo tanti studi, siamo sottopagati, ci facciamo un mazzo così -anche un intellettuale, all’uopo, parla come mangia, soprattutto se stia davvero banchettando: quando ci vuole ci vuole-, mentre molti tuoi colleghi…”. Il cielo in una stanza minacciava tempesta e, si sa, quando gli uomini combinano cazzate ci pensano le donne a rimediare ai danni. Le rispettive mogli, vista la malaparata, hanno cambiato argomento precipitevolissimevolmente, saltando d’Arno in Bacchiglione come il mezza barba Gianmarco Tamberi vola sull’asticella, e virando verso la rima ‘argomenti non violenti’. Tapino Ernesto, un brontolone incompreso, e non solo da tipi come quel baccelliere. Ha sperato di ricevere manforte, nell’avversare ideologicamente le tasse, dal suo partito, ma il suo leader s’è allineato con i progressisti nell’invocare pene certe e più severe per i furbetti del quartierino che sgamano qualche mossa del cavallo per evaderle: che delusione, questo amico del giaguaro! La stangata è offerta su un piatto dove qualcuno ha stampato una copia de ‘L’urlo’ di Munch, anzi meglio usare il titolo originale ‘Skrik’, che dà più l’idea di shock. Che aspetta -continuando a buttarla sull’artistico- qualche scultore a forgiare una stalattite, intitolandola ‘Lacrime nel freddo fiscale’? Sarebbe il caso di premiare, piuttosto che punire, chi sfida l’alea senza una statale rete di protezione. Se il cliente è assente, e non c’è verso di convincerlo a comprare, non si batte chiodo, il piatto piange e innescar la remuntada è più difficile che far passare un ex Premier nella cruna di un ago.
Non possono mancare, nel cahier de doléances, il problema d’una congiuntura economica negativa a livello mondiale, il boom economico che diventa cartolina in bianco e nero dei tempi in cui Berta filava. In questo senso tutto il mondo è paese, se Atene piange a dirotto, Sparta è depressa e non ride, il trend precipita in picchiata ovunque, e pure un cittadino dello Stato Cuccagna, se voglia tracciare, in un ufficio al secondo piano, un grafico relativo alla situazione finanziaria locale, deve scendere al primo, suonare il campanello e “chiedo scusa, posso entrare?, devo disegnare la parte finale”. Occorre tanta resistenza, bisogna tutti insieme aspettare che passi la nottata, magari intonando un canto, per addolcire gli austeri sacrifici, intorno a un falò a ‘sti chiari di luna.
Infine la nazionale iattura di bollette alle stelle, e qui la pazienza finisce, e a dieci esercenti su dieci girano… così tanto che se li metti insieme somigliano a un eliporto con altrettanti elicotteri coi motori accesi, prima del decollo. Cifre da capogiro, tant’è che alcuni titolari di esercizi, non per tirchieria ma per sensibilizzare l’opinione pubblica, hanno affisso una fotocopia del bollettino postale -prova a tre dimensioni del fatto che per loro l’obiettivo di restare a galla è paragonabile alla fatica di ripulire le stalle di Augia- e aggiunto tot nummi sugli scontrini, adducendo, a motivazione della polemica inflazione, proprio il rincaro di luce e gas. Un’emoticon per esprimere le loro rabbia e preoccupazione? Ci vorrebbe come minimo un Picasso per dipingerla, Raffaello, però, sarebbe meglio, col know-how un sacco bello del suo pennello. Compito difficilissimo, si fa prima a ricorrere a una letteratura terra terra: ‘Vaffa’, indirizzato a un bersaglio -la casta dei boiardi degli Enti interessati- trasversale, bipartisan -abbasso tutti i funzionari, neri e rossi (citati in ordine alfabetico), raccomandati e non, vatussi e bassi, simpatici e odiosi- e all’insegna d’una bella par condicio. Nello stesso calderone tipi diversissimi, un pot-pourri più sorprendente di affinità elettive fra un cane e un micio.
Affitto da cravattari, pizzo di criminalità, bollette fuori controllo, crisi economica mondiale, e altro ancora: tanti problemi ‘esogeni’. Eppure per certi versi l’ostacolo number one di Ernesto è ‘endogeno’, proviene dal suo interno, si chiama irresolutezza. Quest’uomo, mr nessuno in attesa di decollo, è un tipo troppo perfezionista, prima di compiere un’azione non secondaria ci pensa su a lungo, versa in irre orre, protagonista di un’irriducibile lotta fra criteri. Non corre, vede nero, incapace anche di sbagliare in wishful thinking. Traccheggia, stenta a intuire una furbata che gli consenta di trovare la quadra, la ricetta che faccia carriera nel vocabolario e diventi panacea. Ambisce a diventare un campione trenta punto zero, cerca d’essere addirittura scientifico, talvolta redigendo una road map in merito al da farsi, ma la sua indecisione, un viziaccio, accio davvero, lo penalizza più d’una batosta fiscale o il ricatto d’un guappo, perciò le sue nozze con la gloria, almeno fino a questo momento, sono accadute solo nella fantasia di qualche suo sogno a occhi aperti, in cui ha immaginato di possedere un ritrovo ogni sera sold out.
Prima di risolversi a varare il suo locale, dando disco verde all’idea ‘bar’, con l’adrenalina di un impegnativo investimento, ha quasi studiato la storia moderna e contemporanea di decine di diverse categorie di negozio. E più meditava e più montava, in un crescendo superiore a quello rossiniano, un ansioso spaesamento, mare forza 7 nella sua inquietudine, tempestose onde di dubbi effervescenti. La soluzione? Più nebulosa di un giallo. Certezze cercasi. Perplessità a non finire in tutte le plausibili ipotesi. In ogni vampata di possibile chiarezza sentiva puzza di bruciato. Ha temuto di peccare in prudenza ogniqualvolta ha elaborato una congettura un po’ all’avanguardia -alzi la mano l’imprenditore che, prima di tuffarsi in un normalissimo lavoro, non abbia mai provato l’uzzolo di inventare, cazzuto pioniere, un settore nuovo di zecca, tipo Amazon nell’Ottocento, atto a trionfare già per la sua originalità-. Sospettava di poter diventare una sorta di apprendista stregone, che osando troppo scatena -in indesiderati effetti collaterali dell’antidoto alla sterile banalità- forze che non saprà poi controllare. Schiavo di un’incertezza a oltranza, è partito con il freno a mano tirato.
Pure quando parla ad alta voce da solo -in soliloqui dove il mittente, anche destinatario, dà valore a questo processo autoreferenziale, e non se ne può fregare di meno se qualcuno lo reputi una masturbazione intellettuale – mena il can per l’aia. È più forte di lui, questa speciale forma di debolezza forse rampolla, nevroticamente, da qualche senso di colpa, sotto sotto, nell’Es, che lo induce a un catartico autolesionismo, atto a espiare il fio. Una chiave di lettura condivisibile, ci sta, insieme, ça va sans dire, alla possibilità di usare altre diagnosi, come minimo una novantina. Difficile stabilire con assoluta certezza che cosa succeda laggiù. Il pesce osseo del genere Pseudoliparis, filmato a più di ottomila metri di profondità, non è ferrato in psicanalisi.
Come se non bastasse questa sua mezza paranoia, è disturbato anche dai falsi amici, più depistanti di quelli che possono ingannare chi impara l’inglese. Il tentenna solo in un’occasione, durante un bla bla con un vicino, Giovanni, ha provato a spezzare lance a favore dell’intraprendenza. Gli ha detto, egli accarezzando il progetto di un locale stranissimo, che forse gli faceva onore il tasso di audacia in quella prospettiva, e che la gente tende a dire ‘Bravo!’ a un uomo con le palle. E quello “E mangiati il bravo se poi, per fare il fenomeno, ti ricopri di debiti. Meglio pettinare le bambole, almeno né guadagni né fai danni, che scendere sotto lo zero. Senti a me, dammi retta, apri un panificio, e in pieno centro”. Il protagonista non ha raccolto, ha lasciato cadere le boiate del menagramo, e con pia pazienza è tornato all’attacco -di sé, prima che di quel bischero-, stavolta volando alto. Ha citato nientepopodimeno che un mito del Made in Italy, Cristoforo Colombo, che, voyager pieno di temerarietà, ha scoperto l’America e… L’interlocutore, brusco, ha alluso alla serendipità del grande navigatore, usandone però un sinonimo poco raffinato, e lo ha zittito. “Ernè, punto primo: tu non sei Colombo. Punto secondo: non si può avere sempre culo nella vita”. Al che la libido di Ernè s’è ammosciata, l’organismo di questo essere umano ha accusato un calo del desiderio (di fare l’eroe). Quel tamarro ha contribuito a fargli credere che è meglio un uovo -non di Colombo- oggi che una Gallina -nulla in comune col succitato scrittore- nel Tremila.
Se Giovanni lo ha infastidito, Gino, un volpone magister di cazzimma, di più, sia pur in altro modo, non becero, anzi tendenzialmente utile -dal punto di vista pedagogico e didattico- a suonare la diana. L’aspirante esercente, dopo avergli dato il cinque -segno di ottima Stimmung-, aveva confidato, in uno sfogo senza pretese culturali, che si stava lambiccando il cervello nel decidere la forma del nascituro locale. Il destinatario, mutandosi in mittente a sua volta, più celere di un trasformista nel cambio di ruolo, gli ha detto: “La conosci la storia di quell’asino che, davanti a due balle di biada e indeciso su quale menu preferire, diventò anoressico e…”. Battuta? Ma quale battuta d’Egitto! Una mazzata fra capo e collo, quasi un affronto. Ern non l’ha presa bene, s’è adombrato -nella batteria dello stato d’animo un immediato decremento delle tacche, da cinque a una-, incapace di stare allo scherzo. Mettendogli il muso, la permalosità come una camicia di forza, l’ha interrotto, “Ti saluto, ho da fare”, e in cuor suo l’ha mandato al diavolo. Forse la terza balla, quella dell’anoressia, che nella storia originale non c’è e che il narratore fantasioso ha aggiunto perché gli piace mettersi in mostra, di riffa o di raffa, a costo di far battute politicamente scorrette, gli è sembrata una presa per i fondelli. Certo, non gli ha mollato un ceffone, però se l’è legata al dito, e dopo, a partire dal ‘The Day After’ dello sfottò, ha rotto con questo istrione da operetta. Fine di ogni relazione diplomatica, amicizia spappolata, anche se, l’offensore avendo una ragione da vendere, un pezzo del suo apologo è rimasto dentro la vittima, scolpito indelebilmente nella memoria, come atomo d’esortazione a darsi una mossa. Ci sia consentito paragonare, mutatis mutandis, l’offesa, brutta e utile, al letame utilizzato come concime in agricoltura -così restiamo nella cornice dell’asinello di Buridano-.
E se l’è data, fiocco rosa e fiocco azzurro, per così dire, a seconda di come il papà presenta la sua creatura: talvolta caffetteria, talaltra bar. Non cambia la sostanza, l’essenziale è che l’attività abbia visto la luce, anche perché per lui tutte le fonti di reddito so’ piezz’ ‘e core.

Walter Galasso