TRE INDIZI FANNO UNA PROVA   [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo 8]

DI WALTER GALASSO

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   Nella mente del pedone zampilla come un geyser ‘tre indizi fanno una prova’. Ignaro del detective Hercule Poirot e di tutta l’opera di Agatha Christie, non si ricorda con esattezza il serbatoio culturale donde ha mutuato questa sorta di massima, la fonte da cui ha attinto per la prima volta queste parole. Così come, del resto, finirebbe con il fare spallucce se qualcuno gli chiedesse “quando esattamente hai iniziato a stimare il partito per cui voti o ad amare la squadra calcistica per cui tifi?”. Un’inconsapevolezza che sembra una quisquilia, e invece è uno degli infiniti esempi di un’importante caratteristica della vita psichica, signoreggiata solo in parte dall’Io, che spesso si crede padrone di sé e invece è, per tanti aspetti, un mezzo re. Può darsi che l’esercente le abbia lette su un articolo di giornale una quindicina di anni fa, o ascoltate un decennio or sono da un illustre ospite di un noto talk show: il sapiente, interpellato su qualche episodio di criminalità, forse ebbe a stigmatizzare una persona, ufficialmente solo sospettata o imputata, ma nella sua ottica (poco garantista) equiparata alla vera colpevole di quel reato, attesi appunto i molteplici indizi a suo sfavore. Oppure i mass media non c’entrano, ed è stato un suo isterico vicino di casa a urlare alla moglie il famoso motto, per accusarla di un tradimento dopo che per tre volte lui aveva riscontrato nell’atteggiamento della consorte degli episodi sintomatici d’una tresca adulterina con un altro uomo. Il coinquilino è caduto in paranoia come un Otello sciroccato, come un maschio dialetticamente aggressivo in quanto aggredito dalla gelosia, e alle orecchie di Ernesto è arrivata la tesi che, anche qualora manchi una prova provata per imputare qualcuno d’una colpa, se di fatto tutto lascia pensare che quell’accusa sia fondata, bisogna infischiarsene e procedere nell’intemerata, vomitando filippiche senza sentirsi nel dovere a cui invece un vero giudice deve ottemperare, cioè la necessità di disporre di dimostrazioni inconfutabili, che inchiodino la persona sospettata e avallino un j’accuse memorabile.
   Nell’importanza che il barista dà al principio in oggetto -che lui sposa anche in senso lato, equiparando ‘indizio’ a ‘mezza causa’ e ‘prova’ a ‘intero effetto’- poco importa la qualità a livello legale. Esso è solo un dettame di giurisprudenza alla carlona, ma all’uomo piace come simbolo di mentalità decisionista e veloce. Il suo ragionamento è attirato dal fatto che una certezza possa sbocciare ben prima che un’Accademia dia il nullaosta al credere in essa. Ern pensa che un uomo abbia il diritto di addivenire facilmente a un convincimento qualora congetturare il contrario sia davvero fuori luogo.
   Se, per fare un altro esempio, recandosi a più riprese -diciamo per sei volte in otto mesi- in un paese vicino Roma, ogni volta gli sembri che gli abitanti di quel posto abbiano la spiccata propensione ad assumere un comportamento provinciale, il suo Io desidera gridare ai quattro venti che quelli sono davvero burini, gretti, arretrati, e gli piace protestare questa idea senza stare a badare alle accuse di scarso bon ton che gli provengano da parte di schifiltosi intellettuali. Il suo animo talvolta ‘non’ vuole essere politically correct, ama spettegolare senza infingimenti. Ma che significa che non ci si deve permettere di generalizzare? Che vuol dire che fin quando in un laboratorio scientifico non si provi al mille per cento la verità di un’idea a cui è affezionata una persona, questa debba accontentarsi di dire che quel pensiero è solo un’ipotesi, un’opinione, bla bla? Egregi scienziati, vorrebbe sbraitare l’anarcoide, ogni volta che metto piede in quel paesino mi imbatto in una popolazione ottusa, poco moderna, piena di pregiudizi, pronta a pensare, se tu le dici ‘avanguardia’, che ti stia riferendo a qualche cane o vigilante di guardia a una villa o a un negozio. Vabbè, sto scherzando, ho esagerato, era solo una battuta, però è verissimo che quelli sono poco elastici, retrogradi. Perché mai, dunque, se l’esperienza mi fornisce tutti questi ‘indizi’, io non debbo dedurre che la copiosa somma non equivalga a una fulgida certezza?
A parte queste implicazioni decisamente negative -non possiamo non prendere le distanze dal suo sbrigativo e accusatorio moto di antipatia verso quel campanile-, vi sono comunque, nella sua simpatia per l”apoftegma’ in oggetto, anche delle sfumature positive e condivisibili. Lui si sente libero, celere, pervaso da una cultura di tipo popolare, quando la realtà lascia pensare qualcosa e il proprio animo vuole crederle senza aspettare un’altezzosa ‘prova provata’: non rinvia alle calende greche il sospirato momento di una gustosa indubitabilità. Il rigore scientifico può implicare una lentezza insopportabile per un tipo psicologicamente fragile. La velocità, talvolta grossolana, insita in una convinzione senza se e senza ma, fideistica più che razionale, è un antidoto contro la sua insecuritas. In molte occasioni una mente non può fare a meno di assaporare una granitica credenza, una ilare lontananza dall’asprezza del dubbio, pur non potendo fare assegnamento su una serietà metodologica nell’acquisizione di queste mezze verità. Che, d’altra parte, possono denotare pure l’esatto contrario dell’insicurezza, cioè una spavalda e orgogliosa fede in idee contro chi, per fare i propri interessi, è disposto a negare l’evidenza e a sperare che la colpa che ha occultato in un armadio non diventi un segreto di Pulcinella. L’atmosfera d’una cultura di massa è zeppa di queste autodifese ideologiche. Il popolo la sa lunga su tante questioni, e certo non aspetta che qualche Università lo autorizzi a pensare che talvolta se non hai una spintarella è difficile che tu vinca un posto al sole: è così punto e basta, e non c’è bisogno di alcun luminare che, discettando finemente, pubblichi un libro in cui si dimostri la liceità o la falsità di questa tesi. Il raccomandato di ferro, un ladro seriale di lavoro che spetta ad altri -ogni stipendio somiglia a un furto o rapina, è un grisbi allo stato impuro-, in alcuni casi si comporta come un usurpatore travestito da mendace buffone: dice in giro che ha partecipato quasi per caso a un concorso o provino in cui è stato scelto, e si appella al nesso ‘prova-certezza’, ne ha bisogno come del pane, per difendersi dall’accusa di essere un privilegiato. Le gente onesta non ha alcun bisogno di quella prova, a lui tanto cara, le basta anche l’ombra di mezzo indizio per sapere il materiale di cui è fatta la sua reputazione: cartone. Così come una simpatica, schietta cittadinanza -trasversale: può risiedere ovunque, in centro come in periferia (citazione in ordine alfabetico)- apostrofa con acrimonia un tizio, ‘stronzo!’, se tutti sanno che questo, pur di fare soldi, è disposto a tradire i suoi amici. Severamente vietato aspettare che dei magistrati diano il permesso di definirlo ‘colpevole’, quello è un verme, lo sanno pure le pietre, al diavolo le prove, evviva i reiterati indizi.
   Nella presente passeggiata, poi, Ernesto rispolvera il valore dei ragionevoli sospetti in una maniera ancora più positiva, addirittura lirica. Dopo aver esperito la scena dell’allestimento del barbecue, infatti, ‘tre indizi fanno una prova’ significa che la sua coscienza non può che inneggiare alla forza di poetici petali dopo aver conosciuto una signora che dichiara di essere in forma se stia vicino ai suoi fiori, un murale in cui un uomo esulta di fronte a una distesa di girasoli, e dianzi un cittadino che si posiziona vicino a un’aiuola per ottenere migliori risultati nella sua attività di cuoco. Caspita, non può essere una coincidenza: qui la flora di rose o elianti o gelsomini diventa un valore aggiunto in vicende di vario tipo!
   Nella testa di questo soggetto si accende una lampadina. Balena una buona idea, e il suo titolo, nell’archivio della coscienza, è qualcosa di simile a ‘una soluzione per migliorare il mio bar’. L’uomo, infatti, crede di aver trovato una panacea ai suoi problemi di esercente dopo aver constatato i suddetti episodi di potenza floreale, dopo aver imparato (da una casuale esperienza) che mediante questi gioielli di vegetazione molte persone possono sentirsi meglio, più pimpanti, orientate a mietere successi eterogenei, soddisfatte finanche a livello etico -come nel caso del personaggio del graffito al primo piano-. Ernesto ha intuito che il potenziamento dei suoi affari, mission che il ricorso alla pubblicità non è riuscito a centrare, forse può essere conseguito con il semplice ausilio di questi tocchi di artistica flora. Del resto, non invale l’espressione ‘il fior fiore di’ per indicare il meglio di un determinato ambito? Molti, nel mondo, rispettano questi vegetali, i loro fan sono tantissimi, non solo gli ambientalisti, e i recenti eventi dimostrano inconfutabilmente che la positività associata a una buganvillea -tanto per citare il primo nome che gli sovviene in questo momento- può avere un significato congiunto solo relativamente con questioni di etica green.
   La donna che ha sostenuto di diventare più creativa vicino ai vasi in cui sul suo terrazzo ha piantato quelle meraviglie, o l’uomo che sembra esclamare ‘Ah!, finalmente!’ quando si imbatte in un oceano di giallissimi girasoli, o lo chef che stasera andrà ad arrostire bistecche vicino ai colori di piante fanerogame condominiali, perché in tal modo si sente più allegro ed efficiente, non sono mica militanti del WWF. Inneggiano a queste realtà non per farsi vessilliferi di cause ecologiche, ma solo in un ambito di esaltazione della propria tonalità emotiva, nell’astuta alimentazione del proprio rendimento, nel miglioramento dell’entusiasmo e dell’appetito in senso stretto. Il viandante tributa una sincera simpatia agli atleti della causa verde, ma in questo momento sta solo pensando a come maggiorare i proventi del suo esercizio commerciale. Ben venga, dunque, l’intercettazione di prove a favore della valenza anche economica di un arredo a base di profumati e policromi fiori.
   Tanto di cappello a chi, se scopre che qualcuno sta gettando rifiuti su una serra, va e lo prende a sberle e se si becca una querela per lesioni il giudice lo assolve, anzi gli dà ragione e condanna il vandalo a leccare con la propria lingua quel giardino, centimetro per centimetro. Ernesto è pronto a scaricare da Internet una sequenza di applausi registrati da indirizzare idealmente a questi nobili tutori del verde planetario, però hic et nunc ciò che gli sta più a cuore è rispondere alla domanda ‘come rendere il bar più redditizio?’, e quei fiori, degni di difensive crociate da parte di prodi ambientalisti, possono essere al tempo stesso pure un valido ausilio per questo operatore economico.
   Il suo tentativo, in corso già da diverso tempo, di far progredire il design del suo locale -e, in genere, tutta l’atmosfera di quell’ambiente- può perfezionarsi con la semplice addizione di qualche fiore spettacolare, magari grazie ai suggerimenti di un guru della botanica. Anzi, si corregge subito quando pensa all’ipotesi di chiedere aiuto a uno scienziato del genere: senza nulla togliere agli Esperti accademici, può bastare lanciare un SOS a un bravo vivaista, o a un giardiniere attualmente disoccupato, o a una signora col pollice verde, una di cui si dica, nel suo condominio, che pochi come lei sanno far ridere una pianta. Lui interpella qualche persona non titolata a livello epistemologico, e ciò nondimeno additata da tutta la sua cerchia come una che la sa lunga in questioni di petali aulenti e coloratissimi, e si fa dire, magari gratuitamente, quali fiori inserire nella scenografia del suo bar, dove posizionarli affinché i clienti siano maggiormente attratti da questi tocchi di classe, come farli interagire con le altre caratteristiche del suo regno lavorativo.
   Tali saggi sapranno guidarlo con pragmatico raziocinio, indirizzare verso un boom economico la sua imperizia di analfabeta della cultura floreale. Molti potenziali clienti saranno attirati come api da questa ‘new entry’ stilistica, da questo insieme di opportuni angoli naturalistici. Si spargerà la voce in città, in un passaparola simile a quello che fa decollare alcune pubblicazioni, quando un lettore bisbiglia al suo vicino di casa che ha letto un libro troppo forte, non è riuscito a dormire per berlo tutto d’un sorso e arrivare quanto prima alla sua ultima parola. E allora questo coinquilino, incuriosito da un tale entusiasmo, si precipita in libreria, compra il capolavoro e lo legge, ché lui non loda qualcosa a scatola chiusa, se non tocca non crede: il risultato è lo stesso, idem, anche questo utente si esalta e va a propagandare il romanzo in tutta la sua cerchia, e così via, finché l’opera risulta la più venduta, davanti finanche a testi scritti da gente molto protetta dal sistema. Il bar, salvo imprevisti, sarà baciato da un’analoga apoteosi.
   Anche se tanti suoi rivali hanno speso cifre esorbitanti per rendere sibaritici i loro locali, anche se un potere politico sponsorizza alcuni suoi avversari -facenti parte della sua suite-, anche se sui mass media alcuni ritrovi sono stamburati più di certi programmi televisivi presentati da personaggi influenti, il suo pubblico esercizio spiccherà il volo e vincerà questa tenzone. E lo farà come Davide ebbe la meglio su Golia. Nonostante la gigantesca forza dei suoi competitor, l’outsider trionferà grazie a un trucco semplice semplice: l’abbellimento mediante irresistibili fiori.
   Questo è l’antefatto di una clamorosa svolta nella storia del lavoro di Ern, l’ambito di causalità in cui danzano le radici di una mezza rivoluzione nella foggia del locale. Una premessa che è anche background e backstage, e che, nella complessità della sua funzione di stimolo, spinge i pensieri di questo italiano a darsi una regolata, sconsigliandogli di abbandonarsi alla famigerata strega dell’inerzia nella gestione del suo ritrovo. La passeggiata gli ha regalato l’occasionale incontro con scene a base d’un potere di flowers, e quelle immagini, invece che restare uno show sì bello ma fine a se stesso, gli hanno ispirato un buon metodo per crescere negli affari.
   Si prefigge una ‘botanica’ metamorfosi del suo punto di vista di soggetto finanziario, dopo aver capito che pure una collezione di gerani dentro un vaso in terracotta può funzionare nel bilancio di un’azienda, e giura a se stesso che onorerà la promessa, realizzando a breve il progetto. Ogni ripensamento non s’ha da fare, stavolta un’eventuale irresolutezza rischia di trasformare l’autostima in autocritica, inducendo questo personaggio a sentirsi un inconcludente quacquaraquà, tutto fumo -così tanto che accorrono i pompieri- di parole e niente arrosto di fatti. Saggia l’Accademia della Marina mercantile statunitense, superpotenza nel ‘pianeta Denaro’, quando ha scelto un motto con il botto: ‘Acta non verba’.

Walter Galasso