UN EX PARGOLETTO ASPIRANTE BENZINAIO PROVETTO:  GIACINTO 4  [RACCONTO  (1 ARTISTA;  1 OPERA)]

DI WALTER GALASSO

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[…INSPIRATION FROM:  ‘SUBCONSCIOUS TOWER’  (‘WIEZA PODSWIADOMOSCI), BY YACEK YERKA]

‘SUBCONSCIOUS TOWER’  (‘WIEZA PODSWIADOMOSCI’),  BY YACEK YERKA

   Giacinto si ricorda che quand’era un bambino si prefiggeva di lavorare in futuro, ‘da grande’, in un distributore di carburanti e gli viene da ridere. Incredibile a dirsi: è un ex pargoletto aspirante benzinaio provetto! Lui stesso, oggigiorno, resterebbe allibito se un suo amico trentenne, magari un vip dello sport, gli confidasse “sai, Giacì, sono contento, per carità, di essere un miliardario bomber di serie A, prolifico autore di almeno trenta goals a campionato, con un sacco di fan ai miei piedi, però non sono davvero felice, perché vorrei tanto gestire una pompa di benz”. Cinto penserebbe ‘questo attaccante a me pare proprio f…Esso, è ammattito, fuori di sé, e farebbe bene ad attaccare, più che le difese avversarie, le scarpe al chiodo, per trovare un dottore, uno molto bravo, ed entrare in terapia, con un abbonamento annuale al sofà d’uno psicanalista’.
   E allora come mai un marmocchio è capace, in modo del tutto sincero e assennato, di idolatrare un operaio che, dentro una salopette, fa il pieno alla berlina d’un cliente? Il giovane ha la sensazione, prima ancora d’iniziare a meditare sulla curiosa faccenda, che in lui già serpeggi il principio, appena appena abbozzato, della spiegazione. Comincia ad andare avanti e indietro nella Torre, come un orso quasi ossessivamente impazzito in un recinto dentro uno zoo o anche in un Bioparco. Prova una sensazione simile a quella insita nello stato d’animo di chi dica, nel volersi ricordare un dato, per esempio un nome, ‘non mi viene in mente ma ce l’ho sulla punta della lingua’. L’inquieto giovane sospetta che in questa meditazione stia per venire a galla un concetto più aggressivo d’una sberla poderosa. Il dilettante pensatore vuole dirimere la questione, non avrà pace finché non avrà capito come mai tanti anni fa anelava a praticare il mestiere in oggetto e adesso non più.
   La risposta è come una figlia della sua riflessione, che adesso si sente ormai in sala parto, perché… perché… sta per nascere, il conto alla rovescia è iniziato. L’ostetrica ha già messo da parte il suo smartphone, dove, se non ha impegni professionali, è capace di smanettare per ore dietro Facebook o WhatsApp, ma adesso la teoretica creatura sta per venire alla luce, e lei ha da stare sul pezzo, altrimenti il primario s’incazza. Meno tre, meno due, meno uno e nasce!: un essere umano di cinque anni -Cinto intuisce pur senza esclamare ‘eureka!’- è (ancora) libero. Libero dai milioni di condizionamenti del cosiddetto ‘sistema’, spontaneo: è se stesso. Il qui presente dottore, rinchiusosi, come un Hikikomori, in questa inconscia torretta per coniugare l’assalto a qualche record e l’autodifesa dalla minaccia chiamata ‘Moloch’, capisce che, strada facendo, ha smesso di vagheggiare quel normale lavoro perché si è adeguato all’immaginario collettivo, ha assorbito come una fragile spugna i pregiudizi inerenti alle classi sociali, alla gerarchia dei ceti. I suoi pensieri, divenuto ometto, hanno cominciato a somigliare a criceti in gabbia.
   Ovviamente quando, da liceale e da universitario, ha agognato un determinato e prestigioso ruolo in società, variando ogni tanto la precisa tipologia occupazionale, e/ma sempre permanendo, gasato denominatore comune, l’attributo di un alto onore nel leviatano, lui ci ha messo del suo, mica è stato eteronomo al centouno per cento! Però si è adeguato al pensiero dominante. Che può pure, bene inteso, essere meraviglioso, ma il punto è un altro: non ha il diritto di annientare, in un attore sociale, la simpatia verso il lavoro di un benzinaio. Anche perché sulla faccia della Terra si deve rispetto a tutti e tutto, e sarebbe bellissimo vedere un automobilista che, parcheggiata la sua corrusca Ferrari, in un distributore Q8, davanti a una pompa di verde senza piombo, ne uscisse, si avvicinasse al gestore dell’impianto, il signor Alvaro, e gli chiedesse un autografo, prima di demandargli il compito del rifornimento. Giacinto, tra una battuta e una fantasia estrosa, si rende conto che, nel lumeggiare la grande metamorfosi che la sua personalità ha avuta da quando frequentava la prima elementare al giorno in cui si è laureato, ha da fare qualche precisazione controcorrente.
   In primis: tra la sua soggettività che ebbe quella Meta e la sua attuale psiche, vogliosa di Imprese con la maiuscola, non vi è tutta la gigantesca differenza che si possa pensare. Il secondo Giacinto, certo, è superiore al primo per tanti oggettivi, documentati motivi, ma il primo vince qualche round della diacronica tenzone, per esempio giganteggia, appunto, nell’essere stato più genuino e leale con se stesso quando ha dichiarato, con verace schiettezza, un’ammirazione -per lavoratori come il bravissimo Alvaro- che davvero provava. Ora come ora, comunque, non vuole ingarbugliare troppo la situazione. Mentre si siede su una poltrona quasi rotta, volontario solo in parte nel cambio di postura, tira solo una conseguenza dalla suddetta, inquieta, rocambolesca introspezione: egli deve e dovrà avere la consapevolezza, nell’odissea in corso come in tutto ciò che farà dopo, di ciò che davvero il suo animo vuole, desidera, loda, ama.
   L’Io di questo soggetto, un po’ eroe e un po’ errore, si arricchisce molto, a livello spirituale e teoretico, durante siffatta discesa in sé, effettuata in postura supina. Quando il ragazzo ritorna in piedi si sente più lucido, anche nel compito di decidere in quale maniera realizzare in questa Torre l’impresa che, a causa del famigerato drago, ha dovuto interrompere traumaticamente nella ‘Shed’, da lui ribattezzata ‘Box della Ribellione’. Sul fatto che debba porre in essere res gesta senza precedenti non ci piove: questa Meta resta il suo finalistico punto di riferimento, nulla è cambiato in questa disagiata emigrazione, una mezza odissea, un cupo esilio per forza maggiore. Adesso, però, rispetto all’interiorità che ha avuta nel capanno, ha una marcia in più, è al corrente di un indispensabile mezzo, quasi una conditio sine qua non, che in quella stamberga ignorava, id est l’ascolto del suo più intimo, inconscio, profondo volere nella scelta d’un preciso contenuto della rivoluzione. È facile, per un aspirante Superuomo, dire che anela a un exploit, vuole assurgere a un’apoteosi senza precedenti, stupire il mondo intero con una prodezza da Guinnes. Tutto vero, tutto esatto, ma v’è, in tale impostazione, una superficiale vaghezza. Sembra quasi che il protagonista, attesa la sua spasmodica brama di diventare un re dei re in qualche branca, concretamente sia indifferente al preciso modo di realizzare lo scopo. Cinto capisce, togliendosi le scarpe da ginnastica e sistemandosi come un Buddha sulla poltrona, che non sta bene inseguire la gloria in un modo purchessia, prescindendo nei desiderata da una prioritaria direzione metodologica e contenutistica.
   Egli, in un imperativo categorico kantiano, deve, perché deve, intuire che cosa davvero ha iniziato a inseguire quando s’è messo in testa di prendere in affitto un locale. E per capirlo ha da incalzare la sua psiche con un’insistente e socratica richiesta di definizioni, senza dare nulla per scontato. E parte proprio dalla domanda ‘perché, o caro me stesso, vuoi distinguerti dalla massa, vuoi eccellere come un campione?’. In questa ardua chiarificazione attraversa una delicatissima prova dell’eroe. Si rende conto che certe volte rispondere a quesiti in apparenza facilissimi è più problematico che chiedersi come l’Universo sia nato e cosa accadrà, in tutte le Galassie, tra miliardi di anni. Un essere umano crede, ingenuamente, di conoscersi a menadito, e invece può annaspare in un tourbillon d’imbarazzo e spaesamento se, puta caso, un rompiscatole voglia sapere quando come dove e perché ha iniziato a tifare per la sua squadra calcistica del cuore (se non sia della propria città) o a votare per il partito di cui ha la tessera da decenni, o a dire in giro che il suo attore preferito è XY.
   Il protagonista, tornando al quia, si lambicca il cervello per giorni e giorni -ovviamente si fa per dire, vi sono soluzioni di continuità nella sua riflessione, egli essendo pur sempre un uomo e non un marziano-; con tenacia, anche biologica, vuole lumeggiare il nocciolo, in ultima analisi, della Mission in corso. Alla fine della settimana, in una domenica in apparenza qualunque, fa un bilancio: ha vendemmiato dodici ipotesi e zero certezze. Illazioni, supposizioni credibili, congetture plausibili, ma la inconcussa, indefettibile, apodittica verità è un’altra cosa. Il pioniere, da un lato soddisfatto, dall’altro prova un pizzico di disappunto e pure un mezzo complesso d’inferiorità, nei riguardi, per non fare che un esempio, dei due fondatori della Apple.
   Loro, lui ne è certo, quando si rinchiusero in quel garage avevano le idee chiarissime, sapevano da dove prendevano le mosse in quella provvidenziale sperimentazione e dove andavano a parare. E ne erano consci e consapevoli anche per l’intrinseca natura del loro campo, la meravigliosa Informatica. In essa chiunque non è esposto al pericolo della genericità, della sterile vaghezza. Quel duo voleva mettere al mondo un nuovo tipo di dispositivi tecnologici e c’è riuscito, buon per tutti. Questo loro fan, invece, giunto a ‘sto punto della sua ebbra avventura ha da ammettere che forse, ai suoi albori, ha peccato di vanità fine a se stessa, accontentandosi di rincorrere il Successo senza sapere esattamente con quali mezzi perseguirlo e conseguirlo. È lì lì per recitare il mea culpa, per fare palinodia del suo modus operandi, ma, giunto al momento clou della resipiscenza, la parte del suo intelletto che svolge il ruolo di salomonico giudice assolve quella che, in questo allegorico processo, funge da imputata, abbuonando ogni colpa, anzi negando ogni responsabilità, sostenendo che non ha commesso il fatto.
   Il ragazzo non se la sente di pensare che sia uno spregiudicato procacciatore di allori: non esageriamo, il suo Io non merita un tale cazziatone. È del tutto vero che, nella teoretica dimensione di tale autocritica, sa che sta mirando a una bella qualità, e certo non gli piacerebbe assurgere a fama e popolarità con qualche performance trash, come produrre una gran cagnara in un talk show o presentare, sempre in tivvù, un programma zeppo di volgarità. Pensa proprio a questa sua caratteristica, spezzando una lancia in favore della propria virtù, mentre cena alla men peggio, usando un tavolino da campeggio, e seduto su uno scomodo sgabello. Mai e poi mai, scendendo a compromessi, accetterebbe di fare pena e schifo, o comunque pietà, pur di spiccare il volo nel firmamento di un’agognata celebrità. E non a caso in tutta questa storia ha avuto l’iniziale input da ‘Apple Garage’, un mito ricco di virtù.
   A questo punto -egli pensa mentre sparecchia la tavola e si accinge a lavare i piatti con un detersivo che profuma di limone- il suo problema è un mezzo sbaglio e un terzo d’abbaglio. Brama valore, nel suo mirino vi sono prodezze che abbondino di Qualità, altrimenti lui preferisce restare nell’ombra ed essere reputato un pinco pallino dai vicini di casa; ciò detto, egli erra nel non sapere in che cosa precisamente possa e debba consistere tale pregio, un’incoscienza sintomatica, in una più generale disamina diagnostica, della sua ignoranza, appunto, in merito ai più profondi aneliti della sua psiche. Si va a coricare, a tarda ora, un po’ amareggiato, viene corteggiato dalla tentazione d’imbastire un’angosciata autocritica, certo del fatto che una persona in tutto e per tutto seria deve, quando visita un altrove esotico, avere seco un Baedeker, che le comunichi i precisi posti da visitare e il loro indirizzo. Sale in braccio a Morfeo con la cresta abbassata, pentito di aver sottovalutato, con loffia spocchia, ‘CONOSCI TE STESSO’, e, pur nel malinconico mood, si prefigge di rimediare, a partire dall’indomani. Riuscendo a rinviare un po’ l’inizio del sonno, allunga una mano e prende un bracciale, su un comodino, mettendolo intorno al polso destro, un’anomalia, nel suo look, che domani mattina, al risveglio, lo aiuterà a ricordarsi che deve attendere a un nuovissimo compito: un’autolettura, non del contatore ma del suo cuore. La fortuna gli va incontro, o forse, più razionalmente, serpeggia nel suo universo subconscio un Valore che, durante un sogno (a occhi chiusi), in fase REM, fa venire a galla, mentre il suo organismo ronfa, la risposta che egli sta cercando umilmente.

Walter Galasso