IL SOGNO DI UN’ ONDA PRIVATA:  GIACINTO 5   [RACCONTO   (1 ARTISTA;  1 OPERA)]

DI WALTER GALASSO

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[…INSPIRATION FROM:  ‘PRIVATE WAVE {1}’ (‘PRIWATNA FALA {1}’),  BY YACEK YERKA]

‘PRIVATE WAVE {1}’  (‘PRIWATNA FALA {1}’),  BY YACEK YERKA

   Il ragazzo, immerso come un ghiro in un sonno profondo, fa un sogno che non ha precedenti nella storia delle sue esperienze oniriche. Lui è un soggetto che pure in questo tipo di attività psichica tende a non allontanarsi troppo dalla razionalità. Adesso, invece, nel suo cervello si svolge un ‘cortometraggio’, per così dire, permeato di un’intensa carica di alternativo surrealismo. Non è dato di sapere il tempo, essendo avvolti da un’impenetrabile nebbia tutti i dati relativi all’ora, al giorno e all’anno in cui si svolge la vicenda. L’uomo sente -nel significato più pregnante e spirituale del verbo- una temporalità ontologicamente generale e indistinta, come se l’universo si sia potenziato nell’emancipazione da ogni frame cronologico.
   Egli, spettatore e testimone di una situazione eterogenea, mentre ne vede ogni componente crede che su ogni orologio da polso invece che lancette in movimento ci sia una minuscola opera d’arte, e che a priori non sussista la possibilità di rispondere all’eventuale domanda ‘scusi, mi sa dire che ore sono?’. Questa illusione gli regala un senso di inusitato e libertario spaesamento psicologico. È scombussolato, come se la suddetta anomalia amputi una parte della logica coesistenziale, ma, anche se il suo ubi consistam patisce un contraccolpo in tale irregolarità, nel complesso ciò che vede gli arriva rafforzato. In altri termini, l’assenza di Sua Maestà il Tempo, che in questo dream non riesce ad aggiogare enti ed eventi, e anzi è cacciato fuori dal quadro, da un lato intacca l’equilibrio interiore dell’uomo ‘percettore’, più turbato che contento per l’affrancamento dai lati negativi della durata, dall’altro, però, rende la Natura prospiciente gli occhi di Cinto uno show più intenso, carismatico, intrinsecamente robusto e forte, soprattutto nel modo in cui viene registrato dall’apparato sensoriale del giovanotto. Il quale è nascosto dietro il possente fusto di un mastodontico albero monumentale -come uno zero zero sette intento, in uno spionaggio, a non farsi beccare in flagranza di curiosità da una primula rossa ch’egli stia osservando di straforo- e fissa, basito e incredulo, un paesaggio stranissimo.
   L’apogeo della sua falotica alterità rispetto alla normalità è nell’acqua presente nel suo ombelico. Si tratta di una particolarità che può essere definita esponenziale, perché consta di una mezza assurdità inclusiva di un’assurdità intera.
   È enorme lo scollamento fra ‘sto sogno e la realtà: in aperta campagna v’è mare, il che equivale, a livello statico, al senso di un racconto in cui il narratore, saltando d’Arno in Bacchiglione, si produca in una performance di balenga incoerenza, abbandonando la via regia della storia e tuffandosi con anarchica voluttà in un volo pindarico che suscita scettica perplessità in quasi tutti i lettori. Nel caso in questione Giacinto, nel captare uno scorcio marittimo in un tessuto rurale e a tratti bucolico non sa, in bilico tra saccenza e umiltà, se criticare quella squinternata discrasia, imputando alla realtà un’imperfezione che fa perdere molti punti alla sua bellezza, oppure credere che il fallo sia nella funzione della propria vista. Sospetta, infatti, che stia avendo una specie di balzana allucinazione, che sia minacciato dal pericolo di diventare pazzo. Da sempre, soprattutto in discorsi sul prolungato spare time dell’estate, lui è avvezzo, in preda a un larvato manicheismo, a mettere, fra le varie ipotesi di vacanza, la campagna e la georgica collina da un lato e l’H2O d’un lussureggiante sea dall’altro. Delle due l’una: o un essere umano si rilassa in riva a un pelago -bagni, nuotate senza record, partitelle a volley con gli amici sulla battigia, overdose h24 d’un cazzeggio scevro di qualsivoglia impegno della mente, splash e ‘ciaf ciaf’ in un’immersione in Nettuno al chiaro di luna, magari dopo aver canticchiato il brano di un leggero cantautore intorno a un falò, con chi strimpelli la chitarra nel ruolo di informale e istrionico maestro di cerimonia-, oppure se ne va in campagna. Più o meno come la Marianna d’una canzoncina -a bassi livelli teoretici- che gli è molto simpatica. Però mentre, in tale opera dell’ingegno, questa Marianna, forse una squinzia che va in mezzo a condadini per prenderli per i fondelli durante una zappata, pare lieta di una tale gita fuoriporta, nell’immaginario collettivo di Cinto l’associazione ‘holiday-zolle- è a dir poco pallosa, perché secondo lui solo un coglione può preferire una piantagione di ulivi e sbadigli e un mix di noia e orticelli all’edonistica voluttà di un soggiorno in una località balneare. Comunque, a parte la sua nettissima preferenza, in questo discorso il punto fondamentale è un altro, ossia la radicale antinomia fra mare e campagna nella scelta d’un luogo, diverso dal posto dove si risiede, in cui estivare e staccare la spina dopo mesi e mesi di duro, stressante lavoro.
   Una dicotomia che, più in genere, nella sua forma mentis viene sussunta, a parte il divertissement di luglio e agosto, in una rigorosa contrapposizione formale: il giovane da sempre interpreta le due polarità come modelli inconciliabili. Nel presente sogno questo schema è minato dall’anomalia di cui sopra. Che ci fa acqua marina in un podere? Essa c’entra come un cavolo a merenda, anzi meno, perché magari un essere avvezzo a fare merende con un menu strampalato si può pure trovare. È davvero alto il livello di eteroclita incoerenza di questo evento onirico. Esso accade come un clamoroso colpo di scena in una mente che, passivamente, sta dormendo, con l’Io del protagonista in stand-by, e lievita, in un’impennata eclatante, quando l’inconscia psiche del protagonista, vedendo meglio quel liquido, si accorge che non solo è mare, ma, in barba a ogni dettame di pacifica e assiomatica logica, ne è un’irrelata parte, cioè un’onda astrusamente avulsa dal complessivo contesto.
   Paradossalmente questa escalation di imperfezione corrisponde, nel soggetto che scruta gli eventi dietro un albero, a un’inversione dello stato d’animo. ‘Mare dentro campagna’ è stata, fino a poco fa, un’inclusione che lo ha infastidito, aduggiato, quasi molestato, apparendogli un pugno in un occhio, un Errore volgarmente controcorrente. Quando, a ben vedere, si accorge che nel bel mezzo del panorama v’è nientepopodimeno che una wave estrapolata dall’insieme a cui naturalmente appartiene, la sua tonalità emotiva muta a centottanta gradi, si sfronda d’ogni folata di nervosismo e diventa bellamente gaia. Cinto ravvisa in quella forma di astrusa ribellione -la parte che insorge contro il primato a priori dell’insieme, in una sedizione all’insegna d’una Libertà con la maiuscola- un Ideale, un libidico paradigma da seguire. La vede come uno scisma edificante, un simbolo di gratificante pienezza dell’individualismo. Un trionfo della singolare soggettività, non più implicita schiava d’una bulla totalità, che fagocita il fior fiore delle aspirazioni eroiche di frustrati individui.
   Il giovane, ossia la parte di lui che mentre dorme lavora moltissimo nello sport, spirituale, della creatività, agogna quell’onda. Desiderando essere tale e quale a lei, idem, vuole pure possederla, poter dire a certi pseudoamici, inducendoli a rosicare con meschinità, che mentre il pezzo forte dei loro averi è qualche bene che, per quanto costi un perù, in fondo è un déjà-vu, lui possiede, a ben altri livelli d’originalità, addirittura un’onda privata.
   Il sognatore, che sta dormendo al pianterreno della Torre, su una branda spartana ma non per questo deficitaria a livello di comfort, proprio mentre nell’onirico film si avvicina all’onda arcianomala, assurdamente dissaldata dal suo oceanico contesto, emblema d’una ‘irrelazione’ impossibile, si sveglia di soprassalto. Forse il suo sonno è stato disturbato dai versi di alcuni animali, probabilmente volpi, che vagano intorno alla costruzione. Non appena riapre gli occhi ha la sensazione, tra uno sbadiglio e un piede che entra in una pantofola, di essere ancora davanti a quell’acqua. Come sovente accade, quando un dream è molto intenso, pregnante, chi lo fa, dormendo in modo profondo, abbisogna di un po’ di tempo, dopo il risveglio, per capire che la vicenda accaduta in esso non è reale, anche se mentre la mente lo ha elaborato la soggettività non ha affatto pensato di essere dentro un’interiore fiction. Cinto impiega una ventina di secondi per iniziare ad aver ben presente, con assoluta e nitida consapevolezza, che quella Wave è stata solo un fantasioso dono di Morfeo. Peccato!, era wonderful, magari al giovane fosse davvero capitata l’avventura di essere a un tiro di schioppo da lei, dalla sua equorea realtà. E si duole anche del fatto che il suo organismo abbia abbandonato troppo presto quella fase di sonno. Però si rende conto, mentre attende alla preparazione d’una frugale colazione, al secondo piano -dov’è sita una cucina-, che se la ricorda perfettamente, con una mnemonica precisione di stampo quasi fotografico. Ne ha presente la guisa globale, la tonalità cromatica, ogni analitica nuance, nonché alcune caratteristiche essenziali, più importanti di altre. Per esempio la sua vaga, visionaria somiglianza con un cavallo che s’impenni in un gagliardo e libertario moto del suo effervescente istinto. O la sua terminazione -nella parte corrispondente alla testa dell’equino destriero- a forma d’una virgola. Lì, se la sua ritentiva non erra, era d’un colore diverso dalle restanti parti: un meraviglioso, rilassante verde, la tinta più cara al suo pugnace, barricadiero, romantico ambientalismo.
   ‘Però… Un momento… In quel punto era sì green, nondimeno alla fine del profilo diventava molto chiara, come se fosse baciata dal sole, anche se il cielo era insaccato, con molte nuvole’, pensa confusamente, mentre sbrana una barretta, light, d’una nota marca, leader in questo settore commerciale di generi alimentari. A proposito di sky: Cinto mentova che tra esso e l’onda v’era una sequela di bolle. Ce n’erano molte, a occhio e croce quasi una trentina, e conferivano al liquido di provenienza un non so che di particolarmente fresco e vivace. Bevendo un succo di frutta, con una cannuccia annessa all’originaria confezione della bevanda, fa mente locale su un dettaglio, che in questa rimembranza mattutina costituisce forse un punto debole, o comunque il dato meno forte nella performance di memoria. Il ragazzo, infatti, è certo che in mezzo alla massa di water ci fosse qualcuno o qualcosa. Qualcuno o qualcosa? Boh! Lui, centellinando una seconda tazza di caffè, dice a se stesso che al novanta per cento era un qualcuno, e che, sempre rimanendo nell’alveo di opinabili illazioni, quella presunta persona era in tutta probabilità un atleta intento a praticare surf. Possibile? Il suo cervello non si sofferma molto su questo dettaglio, sia perché non gli conviene, essendo nel suo intricato fascio di ricordi quello meno preciso, e sia per la sua sostanziale irrilevanza nell’economia psicologica di questa sua esperienza interiore. Con o senza il surfista non cambia nulla nel quadro d’insieme, il suo fulcro è chiaramente un altro, cioè l’anomalia, intermedia tra un miracolo e una magia, di una parte -l’onda- di un tutto -un mare- nell’ambito d’una loro impossibile separazione. Come se, in un edificio simile alla Tower in cui lui ora è, un secondo piano si stacchi dall’intero building e nelle adiacenze allibiti vicini vedano le tre case di cui esso consta incredibilmente avulse dal palazzo, sospese nell’aria, confinanti, sia a sud che a nord, con il vuoto. Quei testimoni, esterrefatti come mai prima in vita loro, forse penserebbero di versare in allucinati miraggi. Comincerebbero ad avere seri dubbi sulla salute della propria mente.
   L’eroe, insomma, ha sognato l’impossibile, tuttavia né dentro quell’opera del suo inconscio, né adesso, in una meditazione a posteriori, l’errore logico di quella scena inietta in lui un senso di razionale sconcerto di fronte a quel pezzo di assurdo. Tutt’altro: esso gli piace, lo esalta, la Wave gli appare come un Valore, che diventa alla seconda quando il padrone della Torre fa caso a un altro aspetto fondamentale di quella situazione, ossia il fatto che l’onda gli appartenesse. Essa era un ‘abstract’ del pelago nella misura in cui era privata. E come tale rientrava nella categoria dei suoi averi, se non altro perché il cervello in cui tali immagini sono andate in onda, com’è il caso di dire, è la mente del qui presente Giacinto. Un uomo sensibilissimo, a tratti visionario, capace di gettare il cuore oltre la siepe, quando parta in quarta, nel suo animo ambizioso, una voglia che lo trascini in uno slancio particolarmente appassionato. Nel caso in questione la seduzione esercitata sulla sua soggettività dall’idea di un’onda assoluta, non in situazione, e quella, sorella della prima, del nesso patrimonialistico tra lui e una tale chicca lo spinge a progettare la ricerca di un posto dove tale stranezza possa accadere veramente.
   In fondo lui è in questo pozzo subconscio nella misura in cui, tempo addietro, ha principiato, da neolaureato, a fondare un quartier generale in cui partorire qualcosa di insolito e meraviglioso. Quando, a causa del dannato e famigerato drago, ha dovuto interrompere prima la produzione di luce illegale, nel ‘Box della Ribellione’, e poi, nel successivo ufficio, la sua corsa a una prodezza d’altro genere, si è messo in cammino verso questo posto, di sua proprietà, chiedendosi che cosa avrebbe potuto escogitare qui. Il suddetto sogno gli ha porto la soluzione su un piatto d’argento. Se riuscisse nell’impresa di trovare, forse in capo al mondo, un posticino dove imbattersi in una tale Wave, e magari diventarne il padrone, mezza Terra, per non dire l’intero nostro pianeta, gli attribuirebbe un masterpiece non inferiore alla nascita dell’Apple. Ormai il voyager non riesce più a controllarsi. Gli baluginano altri particolari del sogno, soprattutto un segnale, su cui ricorda ‘WSTEP’ sopra ‘BRON’ -ma la sua memoria non esclude qualche altro pezzo di messaggio- e, fuori dall’acqua, un pesce che pare fungere da suo spettatore, però non dà peso a tali tracce. È concentrato in un piano: trovare, nella Rete, studiando su tanti siti milioni di dati, preziose info che gli rivelino in quale parte del globo terracqueo sia maggiormente possibile incontrare l’Onda, o produrla se ancora non esista, brevettandola e comunicando urbi et orbi ‘è mia’.

Walter Galasso