THE NEW YORK TIMES:  MUSICA E AMARCORD

2005  –  ILLINOIS  [Concept Album] –  CHICAGO  [Traccia 9]  – Stufjan Stevens – YouTube  [Estratto]

2023  –  TRAILER  “ILLINOIS” [Musical] – Justin Peck and Jackie Sibblies Drury [‘CHICAGO’] – YouTube

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DI WALTER GALASSO

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   Melissa Kirsch, simile alla performance d’un fachiro che deambuli sui carboni ardenti senza mai esclamare ‘ahi’, gioca, ma senza scherzare, anzi assai seria, col fuoco di un argomento gigantesco, roba da filosofi: il Tempo di ogni persona, il rapporto, in lei, fra il passato, prossimo o remoto, e il presente, un re in pimpante moto. Se, qui ed ora, una donna o un uomo, di quindici o di ottocento anni, si tuffi, splash!, in come è stata/o o fu, tot mesi o anni or sono, che cosa succede nel mare magnum della sua interiorità? La classica domanda da milioni di dollari.
   Una soggettività, durante il costante ticchettio delle lancette di un orologio, ovviamente muta, e di ciò è consapevole pure il cinturino del watch. Meno noto è il modo di questa metamorfosi, spesso sottovalutata nella sua effettiva portata. Prova ne è l’idea, invalente nell’immaginario collettivo, che girarsi indietro a livello mnemonico e riportare a galla un evento che si è vissuto dieci anni prima, poniamo l’ascolto di una canzone, significhi solo ricordare quel fatto, in una rimembranza vagamente simile a una fotografia a bassa definizione. L’immagine di quel fatto è solo la punta dell’iceberg. Il vero nocciolo del problema è che la personalità che l’ha vissuto, avendo avuto in quel momento determinate caratteristiche, da allora non ha mai smesso di evolversi. Sommando tutte le esperienze ch’ella, dalla percezione di quella musica in poi, ha avuto ininterrottamente, si ottiene una vastissima quantità di pregnanti dati, rammemorati solo in minima parte dalla coscienza chiara e distinta. Quelli non ricordati non sono spariti nel nulla, non sono stati annientati, inghiottiti da una nichilistica voragine ontologica: sono dentro, giù giù ma ci sono, e concorrono alla vastità e al mezzo mistero del Quarto Oceano del pianeta Terra: l’Inconscio. Anche per questa rebussistica e sfuggente ricchezza un quarantenne, rispetto a se stesso ventenne, o un ventenne, rispetto a sé a nove anni, è quasi un’altra persona. Mentovare il passato ascolto d’una song implica quindi e la capacità di far mente locale sul momento in cui la si è recepita in qualità di suo ascoltatore e quella, ben più complessa, di enucleare come il proprio animo era in quell’audizione.
   L’opera era ‘Imagine’, di John Lennon? Bene, ricordiamone pure ogni secondo, e, con memoria mirandolesca, rivediamo ogni particolare oggettivo di quella situazione: con quale strumento l’ascoltavamo, in quale stanza, seduti dove, e com’era, oltre la finestra o il balcone, il clima atmosferico, e, tanto per non perdere nulla in questo amarcord, se in bocca, mentre le orecchie facevano il loro lavoro, c’era una gomma americana, torturata in una masticazione da robot che si atteggia a duro. Se anche il protagonista di questo esercizio sarà capace di ricordare ogni dettaglio di quella scena, non potrà dire nemmeno di essere a metà dell’opera, perché dovrà ancora rammemorare com’era lui, compito oltremodo più arduo del precedente.
   Leggiamo la vicenda da un’altra angolazione. Provi, questo personaggio, a riascoltare adesso ‘Imagine’, magari in una situazione materialmente tale e quale a quella di allora, identico finanche il chewing gum, sperando che sia ancora in commercio. Idem? Magari! Stavolta, egli essendo un soggetto con tot primavere in più sulle spalle, può provare sensazioni assai differenti. All’inevitabile rischio di malinconia per il tempo trascorso si aggiunge il pericolo di sentirsi turbati nel constatare il proprio cambiamento. I suoi nome e cognome sono uguali, le candeline sulla torta di compleanno no, il suo aspetto esteriore nemmeno, e in quello interiore la trasformazione è addirittura Trasformazione, perché il guaglione X a diciotto anni, fresco di entrata fra le persone maggiorenni, rispetto a quando era un marmocchio ha tali e tante differenze da poterne sembrare uno zio. A parte il dispiacere emozionale -leggerissimo o equivalente a quintali d’irritazione- per il colore meno verde dell’age, in questo processo ci si imbatte anche nella difficoltà, squisitamente cognitiva, di aver ben presente com’era la propria personalità in quello spicchio di passato. Certo, se ci si accontenta di conoscerla grosso modo, a grandi linee, no problem. Ovviamente chiunque, con rassicurante facilità, ha un’idea almeno sufficiente di se stesso tanti anni prima. Non è invece un gioco da ragazzi elaborare in modo ben preciso questa consapevolezza. Perché in un passato che può apparire una terra straniera ogni persona conteneva altri tipi di atmosfere, visioni del mondo, atteggiamenti, sfumature psichiche, stati d’animo -la lista è lunga come la distanza fra Roma e Parigi più tre metri-, dati così diversi che oggigiorno possono essere ‘archeologia psicologica’.
   Non molliano, ognuno di noi tenti di recuperare questo patrimonio biografico, duellando con quella parte del Tempo che se lo vuole pappare lasciando solo briciole. Non è facile, ma in questo studio abbiamo una grande alleata: la Musica. L’esempio di ‘Imagine’ non è stato casuale. Quando si ascolta e riascolta un brano, quelle note hanno il potere d’interagire meravigliosamente con il proprio animo, che pare abbarbicarsi a quella melodia, in un connubio strettissimo, indelebile. La musica entra in una persona, si radica nelle sue profondità, come un essere che, nell’immergersi in un oceano, può tranquillamente scendere fino al fondale, non subendo la dittatura d’una pressione che fa male. Rock, Rap, Classica, Pop, Jazz, non importa: qualsiasi genere, se piaccia a chi l’ascolta in estasi, è un nutrimento, un pabulo che manda in visibilio la o il fan, regala sogni, cura con un piacere che entra nelle orecchie come vento, e dentro alligna come quercia cara alla Natura. È Arte che incoraggia, consola, vola, accarezza, guida un animo e con lui si sposa, riuscendo ad assorbirne una notevole parte della segreta quintessenza. Ecco perché nulla come un brano assaporato nel passato da un soggetto ha la capacità, se egli lo riascolti dopo molti anni, di riportarlo indietro nel tempo.
   Su ‘The New York Times’ Melissa Kirsch, ispirata da un film, si cimenta proprio nella comparazione tra ciò che un album, ‘Fine Young Cannibals’, dell’omonima band, suscitò in lei quando fu pubblicato e le emozioni che sono fiorite recentemente nel suo animo risentendo quest’opera. Una soave delusione. “I still loved the album, still felt moved to bop along and croon the lyrics, but I felt distant from it, as if a pane of glass had been erected between me and my younger self.” [“Amavo ancora l’album, mi sentivo ancora spinta a ballare e cantare i testi, ma mi sentivo distante da esso, come se una lastra di vetro fosse stata eretta tra me e il mio io più giovane.”]  In quella glaciale lastra giace, trasparente e sintetica, tutta la strada esistenziale da lei percorsa nel frattempo, almeno in riferimento alle sue caratteristiche che più si sono attaccate, là e allora, a quelle composizioni. Non è detto, se si cambi musica, che vada sempre così.
   E infatti Melissa, che non si rassegna ai dispetti delle monelle sorelle ‘Malinconia’ e ‘Nostalgia’, effettua un’altra prova, stavolta con ‘Illinois’, il concept album di Sufjan Stevens. Lei lo ha gustato e amato nel 2005;  nel 2023, con sprezzo del pericolo, ne segue una rielaborazione teatrale, by Justin Peck e Jackie Sibblies Drury. Alla vigilia (della prova dell’eroina) si chiede, con timore e tremore: “The stakes felt curiously high: Would someone else’s reinterpretation of the album land for me? Would the public spectacle cheapen my private affection for it?” [“La posta in gioco sembrava curiosamente alta: la reinterpretazione dell’album di qualcun altro avrebbe fatto al caso mio? Lo spettacolo pubblico sminuirebbe il mio affetto privato per esso?”].  Chi è nato nel momento in cui, nel 2005, questa fan s’è maggiormente emozionata nell’ascolto di quell’opera, davvero suggestiva e originale, nel 2023 è maggiorenne. Sono passati tanti litri di simbolica acqua sotto i ponti, la dottoressa Kirsch è temeraria, e qualcuno può dire che se la cerchi, che vada incontro, scientemente, a un pizzico di culturale tristezza.
   Esito del test? Non male, fiuuu! “My experience of the performance didn’t ruin me or the sacredness of the album, thankfully.” [“Per fortuna, la mia esperienza durante la performance non ha rovinato né me né la sacralità dell’album.”]. Poteva andare decisamente peggio. Ovviamente non è, questo banco di prova, solo una collezione di rose e fiori. “One risk of reacquainting ourselves with an album we’ve loved is coming face to face with who we were when we identified so closely with the work: our younger selves…” [“Un rischio di riappropriarci di un album che abbiamo amato è quello di ritrovarci faccia a faccia con chi eravamo quando ci identificavamo così strettamente con il lavoro: i nostri sé più giovani…”]. Appunto. La nostra precedente tesi. La musica è un’armonica navicella che consente un viaggio indietro nel tempo. Riascoltando oggi un disco idolatrato in passato, assorbito dal cuore, esso riporta in superficie l’identità del proprio sé più giovane, nondimeno, al netto del piccolo rimpianto, Melissa confessa che dopo la performance teatrale è ritornata a casa sua con la voglia di riascoltare il ‘suo’ ‘Illinois’. Semplice la spiegazione di questo mezzo paradosso: la conoscenza, anche se sia una lucida consapevolezza di se stessi in un tempo andato, dà sempre un gioioso nutrimento all’animo, a maggior ragione se questo arricchimento avvenga in braccio alla splendida Arte chiamata ‘Musica’.

Walter Galasso