DI WALTER GALASSO
[…INSPIRATION FROM: Arezzo Notizie; L’Ortica – Arezzo News]
Sui marciapiedi ai lati d’una trafficata via, nel centro d’una bella città, galoppano i tacchi di molte scarpe. In mezzo al ritmico viavai di pedoni una coppia di coppie trascorre con parziale gaiezza una parentesi di relax, ore che profumano di tempo liberissimo. I due mariti dietro, intenti a parlare di politica amministrativa -ce l’hanno con il sindaco in carica, uno squisito cornuto che, con la scusa di rifare il volto al territorio, in un restyling affidato a un suo amico, rimpingua il suo salvadanaio-; le due signore davanti, concentrate nell’arte di spezzare gentili lance a favore d’una presentatrice televisiva, certo un po’ trash con i suoi seriali accenti su cronaca nera e rosa, però, poverina, brutalmente licenziata in tronco dall’editore della tivvù dove ha cinguettato urbi et orbi per anni. La moglie nata prima, Sonia, dice all’amica più giovane che ha visto, per puro caso, su Internet un sito di un’azienda che, mediante un pool di canterini imbonitori, sbologna fetecchie a utenti ingenui: “vai a vedere che la poveretta, se non trova un’alternativa in un’altra emittente, emigra lì, costretta a cadere dalle stelle alle stalle”.
Bla bla senza velleità rivoluzionarie, legato alla virtù della compagnia, esattamente come il cazzeggio d’una comitiva di vitelloni, seduti nel dehors d’una gettonata caffetteria, intenti a ridere e scherzare, a commentare l’esito d’una partita di calcio, disputata ieri, in cui la papera di un portiere è costata, alla Nazionale degli Azzurri, un record negativo: goal subìto subito, pochi secondi dopo il fischio iniziale del direttore di gara.
Loro sputano innocue banalità senza saliva, vogliosi solo di godere l’incipiente estate dell’anno in corso, e un teddy boy, alla guida d’una lussuosa utilitaria, con un esibizionistico poker di finestrini abbassati, causa un inquinamento acustico dell’ambiente, la sua autoradio essendo a palla. Bum bum, wow! oh là là!, dagli altoparlanti, installati da un famigerato elettrauto rotto a tener bordone a tipi come lui, esce un mavorzio battaglione di watt, e addirittura in finestre di case al primo piano i vetri vibrano come in un terremoto. Per lui, Claudio detto Ciacco, questo modo di scorrazzare implica un figurone. Quella musica a tutto volume veicola volontà di potenza, supremazia nell’atmosfera, una divisa da metaforico generale nel clan a cui appartiene. Già, la sua cerchia. Il vero, potissimo fiore all’occhiello della sua vanità. Sono tanti, come fratelli, pur senza lo stesso sangue, anzi no, perché a ben pensarci il sangue è rosso in tutti quelli che, come loro, non sono aristocratici. L’omogeneità d’estrazione sociale li fa sentire ‘similes cum similibus’, e poi ogni unione fa la forza. Già se tu sommi dieci mezzeseghe, ben amalgamate fra loro, ottieni, op là, una mezza temibile gang, figuriamoci che rispetto possa incutere un gruppo in cui tutti, dall’alfa all’omega, siano gagliardi men. Ciacco, poi, è proprio, primus inter pares, un Superman con la maiuscola, quantunque ancora non sappia volare. Un autentico maschietto alfa, un duro, e pure uno che nel suo curriculum di vincente ha, oltre al merito della suddetta comitiva, il fulgido onore d’appartenere alla frangia di ultrà della locale squadra di football.
Forse è anche per questo fattore di collaterale carisma che ha conquistato la sua dulcinea, Vanessa, una commessa, bionda e ventenne, in una profumeria. Adesso il bullo, che decelera bruscamente con una sgommata trendy, e parcheggia la sua arma a quattro ruote in doppia fila, sta andando da lei, per dirle, come un romantico automa, “Amò, pucci pucci, mi sei mancata”, e soprattutto per tenere sotto controllo, in un monitoraggio ossessivo e paramilitare, la situazione. È geloso, Otello rispetto a lui è un tipo democratico ed elastico. Il cervello di Claudio non ha dubbi: quella donna è sua, e se qualcun altro… Comunque la diretta interessata (dell’asfittica persecuzione) non pare aborrirla, anzi. I piccioncini si sentono già sposati, tant’è che l’una polarità chiama ‘i miei suoceri’ i genitori dell’altra, e viceversa. E la ragazza reputa sua ‘cognata’ Milena, la di lui sorella, già maritata, con un usuraio d’un paese vicino, rispettatissimo nel suo ambiente, dove tutti i suoi amici fingono di non sapere che fa disperare coloro a cui presta inquinato denaro, con interessi alti come i tarli della maniacale gelosia di Ciacco. Quell’uomo, Gianni Cravatta, è un altro asso di socializzazione, essendo il presidente di un’associazione culturale [culturale?…] inclusiva di un sacco di gente, e come tale tenuta in grande considerazione. Vanessa, fidanzata di un compagnone e acquisita parente di un altro -se è cognata di Milena lo è pure di quell’animale… politico-, si sente in ottima compagnia, in una botte di ferro. Claudio, se un giorno vorrà pubblicare una colascionata, con tutti gli individui che conosce, sinonimo di sicure vendite, vincerà un Sì di Éditions Gallimard: secondo lei lo stato maggiore di quella Casa si confonderà quando riceverà il suo boyfriend, chiamandolo ‘Dante’. Un attimo dopo, è chiaro, sarà sua premura una rettifica, però intanto il lapsus, frittata più saporita d’un piatto by Dabiz Muñoz, sarà fatta, e Ciacco diventerà un Professore in un Talent Show.
Mezzi scherzi a parte, purtroppo giova sottolineare che la mentalità dei due piccioncini, imperniata su ‘Ho il gruppo, ergo sono guappo’, in questo rione è piuttosto diffusa. Tant’è che la sua ultima ruota del carro, nelle gerarchie dell’immaginario collettivo, è Mino, un lupo solitario, attanagliato da una sfigata carenza di amici. Di lui si sa ben poco. Lo si è sempre visto solo soletto: motivo più che sufficiente per reputarlo un perdente, un disadattato, un dissociato, ai margini d’una vincente e assennata socializzazione. Per certi versi se, per assurdo, un sofisticato e informatico marchingegno potesse tradurre in un tridimensionale esempio plastico questo larvato disprezzo, potrebbe produrre la seguente conclusione: per i residenti di tale quartiere Mino è u uomo. Sì, ‘u’ e non ‘un’, ché la sua misantropia merita il castigo di un nuovo e dimezzato articolo indeterminativo.
È bene precisare che ‘sta disistima non s’è mai tradotta in un volgare sfottò, in un crasso persiflage. Nessuno s’è mai permesso d’indulgere a tale maleducazione. Semplicemente lo hanno sempre ignorato. Zero sguardi o saluti o sorrisi: un paria quasi invisibile. Ne ha sofferto, e da molto s’è tappato nel suo tugurio. Un Hikikomori? Lui non sa neppure che cosa significhi questo termine. Quel che più conta, negativamente, è che nella giungla sociale da tempo non compare.
Quando ormai Vanessa e Claudio & Company stanno per obliarlo definitivamente -ci vuole poco, non avendolo mai notato-, oggi succede un colpo, yellow, di scena. Mino ricompare, riemergendo dagli abissi (del suo drammatico isolamento) come il pesce remo nelle acque di Taiwan, ma con una stranissima particolarità: è ammantato di un look totalmente dorato, e gialla è anche una bicicletta che porta seco, senza mai salire sulla sella. Per il resto è idem: non apre bocca, non impetra oboli, non dà in escandescenze, non pare ubriaco: non. Il verbo più radicato in lui è ‘guardare’. Osserva, con una curiosità agli antipodi d’una distrazione che d’inerzia sia banale serva. Stavolta, immerso in siffatta stranezza, viene, eccome, notato, ma forse egli stava meglio quando stava peggio. Notato, sì, ma tendenzialmente come un mezzo pazzo, per non dire intero.
Questa sua apparizione è la prima d’una lunga serie. L’uomo è sempre tutto giallo come il Sole, almeno fuori. Un intellettuale, mosso a compassione, vuole capirne il perché e il percome, e inizia a lambiccarsi il cervello, spremendosi le meningi per congetturare una possibile chiave di lettura narrativa. A un certo punto gli viene in mente la possibilità che Mino, un suo figlio partito anni fa per un fronte bellico e da allora non ancora ritornato, se ne vada in giro in quel modo affinché, se il ragazzo appaia all’improvviso, in un provvidenziale rientro dall’inferno, non possa non accorgersi di lui e gli vada incontro, magari di corsa. Un’ipotesi che ci sta, anche se sa tanto di leggenda metropolitana. La spiegazione, per carità, ha un suo perché, ma è un’altra la verità, scoperta da un turista che si prende la briga di attaccare bottone con questo apparente ‘scemo del villaggio’, diventandone un po’ amico prima di ritornare in patria. Mino l’Omino, frustrato dal sentirsi non percepito da sguardi altrui, tanto solo dentro il suo animo, ammalato d’irrilevanza, è diventato d’Oro per polarizzare su di sé quegli occhi ostili, per contrastare una strega, crudele anche se non cruenta, denominata ‘Indifferenza’.
Walter Galasso
Che storia struggente raccontata in una lingua sublime e toni profondamente poetici!
Whhat a information of un-ambiguity and preserveness of valuable
know-how about unexpected feelings.
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