DI WALTER GALASSO
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La Gioconda, Monna Lisa, vicina a Campo de’ Fiori, precisamente in quel di Palazzo Farnese, meravigliosa Ambasciata di Francia. La notizia, legata a un celeberrimo fattaccio -accio davvero- di cronaca, è riportata da molte fonti. Poche, però, ne specificano l’esatta temporalità, per esempio ‘info.roma.it’, che, nella ‘Cronologia’ di questo monumentale ‘tempio’, mette in relazione con la data ’21/12/1913′ un evento di portata eccezionale: “La Gioconda di Leonardo viene esposta a Palazzo Borghese, e prima del suo definitivo rientro a Parigi, all’ambasciata di Francia a Palazzo Farnese”. Una parola, ‘rientro’, legata a un’abissale storia, concentrata anche in un’opera sul furto della Gioconda, uno dei mosaici esposti, in un museo a cielo aperto, a Cadero.
Vincenzo Pietro Peruggia, cognome inclusivo di diverse assonanze, dalla noia di ‘uggia’ al Paese Perù, con la sottrazione dell’accento, e la città Perugia, con l’addizione d’una consonante. Volendo essere del tutto esaustivi in questo gioco, giova ricordare, in riferimento al suddetto Stato, che la sua ricchezza di miniere d’oro ha originato, in passato, l’espressione ‘valere un perù’, cioè un ingente, faraonico, ghiotto gruzzolo di schei. Col senno del poi ci è dato di pensare che anche questa sfumatura possa essere connessa analogicamente con l’animo di Vincenzo, nel senso che l’anelito all’arricchimento, piuttosto diffuso sul pianeta Terra, in lui ha cagionato il malsano progetto di un criminoso ‘colpo’ senza precedenti nella Storia. Il personaggio, innamorato dell’idea di possedere qualcosa che valesse un perù, ha, come dire?, alzato un po’ troppo l’asticella, pianificando il furto, monstre, di un’opera d’arte speciale. Pregiata? Di più. Abbondano, purtroppo, nella storia della cronaca nera, i delinquenti impegnati nel tentativo di trafugare qualche capolavoro, ma nessuno è mai arrivato, nella mala del settore, dov’è giunto l’appetito di questo tizio, capace di mettere gli occhi addosso al ‘re dei re’, il dipinto spesso reputato, al netto della stima che si deve a tanti altri capolavori, il non plus ultra, il quadro più famoso e importante nella storia dell’umanità, la sublime Monna Lisa.
In principio fu, come in tantissime altre situazioni, una raffinata committenza. Il nobile mercante Francesco del Giocondo chiede al Maestro la cortesia d’un ritratto della sua signora, Lisa Gherardini. Forse pensa che l’esecuzione del portrait, in certo senso ‘apologetico’, atto a portare acqua al mulino della sua reputazione, sia un do ut des -soldi in cambio d’una prestazione artistica- di routine, ma è troppo ottimista, non fa i conti con l’oste, che nella fattispecie è lo splendido perfezionismo di un Grande di tutti i tempi. Leonardo non si sbriga, perché non s’accontenta. Tocca e ritocca, con amorevole acribia, quell’immagine su tavola di pioppo, procrastina il fatidico ‘The End’ della sua esecuzione. No, non lo rinvia alle calende greche, riesce a ultimarlo, ma tardi rispetto ai tempi sognati dal povero Giocondo. Morale della favola: il genio, che ha iniziato l’opera nel 1503, dopo diversi anni, nel 1516, porta seco la tela in Francia, e il dipinto lì resta, dopo che l’Autore l’ha donato o venduto, poco importa. Quel che storicamente più conta, invece, è che con la sua successiva residenza nel parigino Museo del Louvre nulla c’entra Napoleone con le sue seriali spoliazioni di opere altrui. L’Imperatore, certo, adorava il dipinto, tant’è che nel 1800 se lo mise in una sua camera da letto -dopo un poker d’anni tornò, fiuuu, nel Museo-.
Forse il furbetto Peruggia, con il suo incredibile furto, ha voluto ‘anche’ scimmiottare la megalomania del personaggio storico. Può sembrare assurdo, ma c’è riuscito. L’eroe negativo è un soggetto come tanti, ma come pochi soggetti, quando si trasferisce a Parigi, ottiene un gagne-pain contenente un immenso onore: ha l’incarico, nel Louvre, di ricoprire i quadri, dopo una preliminare pulizia, con una protezione in vetro. Dagli oggi e dagli domani, e nell’alveo dell’occasione che fa l’uomo ladro, un bel giorno, a un tiro di schioppo da quelle pittoriche sintesi di montagne di denaro, non riesce a resistere, non ce la fa più, è più forte di lui. Macchina il progetto di fregarne una, con qualche mossa del cavallo e di straforo. Le ridotte dimensioni di Monna Lisa probabilmente concorrono alla sua intenzione d’impossessarsi indebitamente proprio di lei, oltre, naturalmente, al fatto che la sua quotazione è senza pari. L’audace mariolo -avviato a diventare un mito per ogni topo d’appartamento- si nasconde, la notte di domenica 20 agosto 1911, in un lieu d’aisances. L’indomani il Museo non è aperto al pubblico. L’infedele lavoratore, la mattina del 21, asporta il masterpiece, lo occulta sotto un grembiule e se ne va alla chetichella.
Il voto al sistema di sicurezza è sotto lo zero più o meno come la base del pozzo Kola -profondo 12.226 metri- è giù rispetto alla bocca. Il collega di Arsenio Lupin è un po’ ‘paraculo’. Intende presentarsi, al momento opportuno, come un patriota, che ha tolto una fortuna a una Nazione ladra per restituire il prestigioso grisbi al Paese legittimo proprietario. Forse quest’alibi lo fa sentire più sicuro. Certamente il suo Io non è carente d’autostima.
In realtà in questa vicenda, dove davvero la realtà supera la fantasia, il Nostro dimostra sotto sotto, per restare in certo senso in ambito artistico, d’essere tondo come la O di Giotto. È sciocco già in quel 21 agosto, quando, da poco uscito dal Museo, con quel Patrimonio dell’Umanità nascosto in sé, si permette pure di salire sul tram sbagliato, costretto a trasbordare su una carrozza, mentre chi di dovere seguita a dormire. Le ingenue cazzate fatte in seguito da costui sono tante. Riesce sì a rientrare in Italia, occultando la Gioconda nel doppio fondo d’una valigia -meno male che Amedeo Minghi, ne ‘La Farfalla’, non si è ispirato a lui quando ha fatto cantare a Mietta “un pigia pigia nella valigia”-. È altresì capace di convivere con Lei per più di due anni -definirà in seguito “romantica” questa esperienza-. In questo è stato un essere umano straordinario. Ma il gigante (del crimine) dimostra d’essere un pirla dai piedi d’argilla quando, il 29 novembre del 1913, contatta un antiquario per vendergli il bottino. E ancor di più quando si fida del potenziale partner commerciale, il quale, insospettito e insieme al direttore degli Uffizi, gli chiede la cortesia di poterlo avere in prestito, per effettuare controlli. La stupidità del dilettante demone, che gli crede, rasenta l’infermità mentale. La patologia che gli viene attribuita, nel processo, dopo che a chi gli chiede “ci sono due uccelli su un albero, A e B, un cacciatore spara su A, quanti pennuti restano sul ramo?”, lui risponde “Ovviamente uno”, e l’inquisitore sentenzia “cretino!, nemmeno uno!, ché l’altro, udito il rumore, se ne scappa in volo”. Con tutto il rispetto per questo psicologo, ci permettiamo di notare che già in tanti frangenti di questa storiaccia il Peruggia aveva dimostrato d’essere affetto da una dabbenaggine record. Non c’era bisogno dell’indovinello per provarla scientificamente.
L’imputato diventa un condannato, sempre sostenendo d’aver indulto al reato per nazionalistico amor patrio e vindice rabbia in salsa d’un giustificato sciovinismo. Molti gli credono. Bravo il nostro Stato ad averne preso sempre le distanze, stigmatizzando tout court il suo modus operandi e assumendo un atteggiamento internazionale davvero impeccabile. Tant’è che la Francia, in segno di stima e riconoscenza, permette che il supremo capolavoro sia esposto per qualche giorno in Italia. E Monna Lisa, nella data di cui sopra, il 21 dicembre del 1913, è vicinissima a Campo de’ Fiori. E poi, dopo qualche altra ostensione nel Bel Paese, ritorna nel Louvre.
Una vicenda davvero eccezionale, nella quale ha funto da ulteriore lievito d’interesse (del mondo intero) il coinvolgimento -fra le tante persone tirate per la giacchetta nelle drammatiche indagini- di Pablo Picasso e Guillaume Apollinaire -riusciti, buon per loro, a emanciparsi dall’incubo di qualsivoglia responsabilità-.
La sua eco è ovviamente vastissima. In virtù della stessa istanza di sintesi che mi ha suggerito di riportare, della vicenda, solo una minima parte, in questa sede mi limito a citare, come un ennesimo e indiretto suo effetto, l’opera dedicata al Peruggia nel Comune di Cadero, paese italiano -in provincia di Varese- caratterizzato dall’esposizione en plein air, sul suo territorio, di molti mosaici -il titolo di uno: “CADERO il paese dove si respira l’arte”-, fra cui conta, appunto, un’opera raffigurante Vincenzo Peruggia con Monna Lisa sotto un’ascella.
In questa rappresentazione, facente parte di una bella collezione, preziosa cultura regalata a tutta la cittadinanza, il ladro si presenta in una fenomenologia aperta a diverse interpretazioni. Ogni lettrice e lettore di questa pubblicazione ha il divertente diritto di valutare a proprio piacimento la personalità dietro quei mustacchi.
Walter Galasso
DELIZIOSO!!!