L’OMERTÀ DISERTA   [Bozzetto  8]

DI WALTER GALASSO

Avatar wp_16251317


   Un caleidoscopico tourbillon di varia umanità nel centro d’una piccola città. Un tripudio di tentato divertissement e consumismo monstre.
   In una boutique, punto vendita del marchio aziendale ‘Nirvana’, sta pontificando una sofisticata lavoratrice, Lina, studentessa universitaria che ivi lavora a part time. La signorina –una sciacquetta per Gino Casagrande, spasimante che ha con lei il dente avvelenato perché l’ha corteggiata ed è andato incontro a un acido due di picche, mentre per Rocco Lio, il suo attuale boyfriend, è il non plus ultra della femminilità e dell’intelligenza- sta parlando enfaticamente con due colleghe e tre clienti. Sfoggia una parlantina niente male, cita qualche wellerismo, polemizza con l’attuale governo della Repubblica Italiana e incensa il sindaco di questo capoluogo.
   Un peana non proprio partorito in un’obiettività super partes, perché ‘sto politico, enfant prodige del Palazzo, è suo cognato, avendo sposato, in imenei da mille e una notte, sua sorella, Pamela, detta ‘la venere barona’. Lina, mentre lo celebra a trecentosessanta gradi, non dimentica di maledire chi, in questo Comune, s’è permesso d’insultarlo volgarmente, scrivendo, con una bomboletta spray, su un muro vicino alla Biblioteca Comunale, fregnacce cattivissime su e contro di lui. Lei, grrr, non sopporta queste laide calunnie, un j’accuse destituito di fondamento, perché il primo cittadino, Luca Prolegomeni, da quando è in carica ha radicalmente trasformato -in meglio, va da sé- il tessuto sociale di questo posto. E l’oratrice, gesticolando con ritmica agitazione -show che risulta a fortiori spettacolare per la bellezza delle sue mani, affusolate graziose ed eleganti-, sciorina una serie di dati a favore dell’eroe. Enumera tutte le sue (presunte) res gesta, lumeggia i motivi per cui la cittadinanza gli debba dire e dare un grazie grande quanto ‘1 montagna × 3’, e tiene a mettere un accento sul fatto che questo protagonista, specchiato galantuomo, adamantino lord della e nella stanza dei bottoni, opera sempre e comunque a beneficio della collettività. Mai potrebbe, nemmeno in una sbronza, perorare una causa Cicero pro domo sua, e anche quando, recentemente, ha nominato i membri di una task force di esperti, deputati a guidare scientificamente la bonifica urbanistica di un quartiere degradato, in outskirts, ha eletto, a primo, anzi unico criterio della scelta, la valutazione dei curricula, nell’alveo di un’edificante meritocrazia.
   L’uditorio all’interno del locale le tiene bordone, in modo particolare le due commesse ostentano idem sentire, ognuna annuendo con ridicola energia -sono state assunte in virtù d’una decisiva raccomandazione della stessa Lina, ergo le darebbero ragione anche se, puta caso, dicesse che il fascismo è meglio della democrazia-.
   Il teddy boy Pippo Loiacono, che sta fuori, a un passo dall’uscio, in attesa di un giovinastro che gli deve vendere aumm aumm uno smartphone impunemente rubato, e che sta origliando il comizio della squinzia, ch’egli conosce indirettamente, siccome detesta quel politico -nella sua famiglia lo reputano un gaglioffo matricolato, nonché un farabutto rotto a prendere per il culo un sacco di leggi-, non ne può più. Le sue orecchie hanno udito lodi che lui equipara a stronzate, considera Lina una donnicciuola e una mentitrice seriale, agit-prop che presenta come un mito una stupidissima mezzasega, un bischero così brocco che di più non si può. Ingerendosi nel discorso, entra parzialmente nella bottega. Un piede dentro e uno fuori, tanta stizza dipinta sul suo volto, nessuna intenzione di mordersi la lingua e restare al proprio posto. Sbotta in accuse al vetriolo, elaborate con una prosa oltremodo scurrile. “Ma che cazzo dici! Quel pistola è un handicappato mentale, non gli funzionano le palle, è un bandolero a piede libero, mente sapendo di mentire, è sciroccato in ogni sua decisione politica, fotte allegramente lo Stato, altro che! E dillo che è lo stallone di tua sorella, e perciò ti conviene dire che è un superman. Superuomo? Quel deficiente non è nemmeno un mezzo uomo. Credimi: invece di eruttare puttanate, faresti meglio a usare in un altro modo la tua bocca, per esempio recitando una poesia imparata a scuola”.
   Un’intemerata scioccante. Il signor titolare, Armando detto ‘l’Hidalgo’, appollaiato su un’ampollosa poltrona presidenziale dietro una scrivania soprannominata ‘la portaerei’, in fondo al loft, resta basito, per un brevissimo arco cronologico, di fronte alla triviale stranezza di questa abominevole intrusione. Poi, bravo a riprendersi celermente dal mezzo trauma, s’alza di scatto e si dirige verso un’étagère, per la precisione verso il telefono posizionato su un suo scaffale, urlando “chiamo subito la polizia, così ‘sto delinquente ha la lezione che si merita”. Pippo, udita la minaccia, si sbellica dalle risate, o meglio: finge di ridere, “Ah, ah, ah!”, per far vedere al suo nemico che lui se ne impipa, essendo un duro, un mandrake famigerato. Comunque, al netto della sua sostanziale gagliardia, reputa opportuno squagliarsela a gambe levate, prima che davvero arrivi una pantera della madama e qualche sbirro attenti, col tintinnio di metalliche manette intorno ai suoi robusti polsi, al delizioso aroma della sua potente, meravigliosa libertà.
   Lui se ne scappa, non per fifa blu ma per eludere a priori guai con la giustizia, e Lina inizia a piangere, consolata da tutte le persone presenti. Un fuoriprogramma davvero sorprendente, sicuramente intriso di bassezze terra terra e maleducazione in quantità industriale, ma per il boss, il sedicente hidalgo, non tutti i mali vengono per nuocere, nel senso che paradossalmente l’imprevisto ha giovato, tutto sommato, all’atmosfera dentro questo esercizio. Prima che quel dannato tamarro cominciasse il suo assalto, infatti, si respirava nell’aria un non so che di noioso. Solita solfa, tran tran routiniero, una sorta di scadente giorno. Adesso, invece, v’è una vivacità che neanche a carnevale. Questa prima caduta di stile di questo personaggio è una colpa minore rispetto alla seconda scorrettezza ch’egli dopo qualche secondo commette. Lo stronzo, infatti, a maggior ragione per la fuga dell’invasore, delibera d’emblée di non lanciare un SOS ai questurini, soprattutto perché teme che se la gggente, che fuori passeggia, veda un’Alfa Romeo della Squadra Mobile, parcheggiata davanti al suo negozio, con la sirena lampeggiante, eccetera, si possa fare chissà quale idea, possa ipotizzare che dentro sia accaduto un fattaccio, un reato di cronaca nera, e, perciò spaventandosi, possa riluttare a entrare per fare shopping. Gli farebbe piacere scatenare mille Rambo contro quel giovinastro, fargliela pagare con gli interessi, magari esagerarne, escusso come testimone da qualche poliziotto, la colpevolezza, inventando che ha estratto un coltello a serramanico o addirittura una pistola, così lo inguaia e gli serve fredda fredda la vendetta. Però a ben pensarci, tenendo conto della sua preoccupazione di cui sopra, la spesa non vale l’impresa. Morale della favola: l’hidalgo (?) da operetta decide di nascondere la cacca -la mancanza di rispetto verso Lina- sotto il tappeto, in un’ennesima puntata della serie “L’omertà diserta”.

Walter Galasso