UN SOGNATORE INCOMPRESO   [Microracconto  10]

DI WALTER GALASSO

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   Il domicilio di Fabio è un quadrivani, al quinto piano di uno stabile eretto negli anni ’70, al civico 51 di Via Matisse, in una cittadina a 9 m s. l. m.. Se si consideri che in questo building le stanze sono molto alte, circa 374 centimetri, quel livello dovrebbe avere un’altitudine di 25 metri – 9+15= 24 + 1 (per abbondare in un’approssimazione per eccesso)-. Qualcuno si lascerà scappare un punto interrogativo: ‘e allora?’, idest ‘chi se ne frega?’. Giusto, il dato non è poi così rilevante, però per il diretto interessato conta, e pure molto, tant’è che entra in un suo sogno.
   Mentre l’uomo ronfa, russando, nella sua mente succede un curioso dream, in cui egli, armato di un flessometro lungo 200 m, si reca in riva al mare del suo Comune.
   “Fai attenzione”, bisbiglia a se stesso nel timore che da qualche tubo possa uscire una minacciosa pantegana. Alcuni cittadini, infatti, mormorano che il lungomare sia infestato di topi, anzi uno giura che tempo fa è accaduto un episodio sconcertante: mentre un tizio passeggiava sotto rigogliose e titaniche palme -allineate in un’andana spettacolare- un ratto, assiepato in uno di questi alberi, gli è piovuto in testa, e il malcapitato, per lo choc, quasi è svenuto e poi ha dovuto effettuare controlli sanitari per mesi, dati i rischi che si possono correre. Leggenda metropolitana? Lo scetticismo è d’obbligo. Si sa cosa può succedere: cade un moscerino e nella catena di pettegolezzi, tam tam che amplifica il dato di cronaca, quell’esserino fa carriera e alla fine del racconto orale e corale diventa un topo orrendo, diverso dal simpatico Topolino dei fumetti. Comunque, se non è certo che la caduta della bestia sia avvenuta, non va revocata in dubbio la presenza dei roditori nella zona dove la città è baciata dalle onde. Su cartelli palesi è affisso un tassativo divieto di balneazione, proprio per questo problema, e lo stesso Fabio è stato più volte testimone oculare di loro scorribande in corrispondenza di un porto turistico.
   Siccome nei sogni vige e trionfa la fantasia, ma sulla base di un’esperienza pregressa, la mente dell’uomo tiene debitamente conto di questa caratteristica del posto -su alcuni giornali si sta portando avanti una campagna di sensibilizzazione per patrocinare la causa di una derattizzazione del lungomare-, e quando il suo alter ego onirico si reca nelle adiacenze del pelago, che profuma di iodio, allerta i suoi radar per spronarsi a un’immediata fuga nel caso in cui i suoi occhi intercettino uno di questi quadrupedi. Fortunatamente tutto va benone dal punto di vista degli incontri con la fauna: nove cani, molti mosconi, un battaglione di lucertole ma nemmeno un topo. Si tranquillizza per l’assenza di un mostro peggiore del varano. ‘Hanno ragione gli elefanti quando fuggono imbizzarriti vedendo uno di questi mostriciattoli’, ha pensato una volta Fabio, che ne ha il terrore, si sente male solo a immaginare il loro muso aguzzo e il décalage fra le zampe posteriori e quelle anteriori, più corte rispetto alle precedenti. Trasmettono la peste, guai se danno un morso, e poi che schifo!, è una questione di ribrezzo istintivo, quantunque non sia del tutto irrazionale chiedersi se non serpeggi un filo di razzismo e pregiudizio in questa demonizzazione. A costui, però, non passa neanche per l’anticamera del cervello la tentazione di fare discorsi difficili e splendidi, lui aborre un mouse -quello delle fogne, non quello informatico-, anzi arriva a essere disturbato anche se le sue orecchie sentano termini come ‘topografia’ o ‘isotopo’, dunque nel sogno in oggetto è un sollievo appurare la lontananza di sorci.
   Giunge così incolume in riva al mare, indossando un trench per ripararsi dagli schizzi -il clima è infatti contrassegnato da una ventilazione così potente da far gongolare i velisti, che agognano i nodi eolici come molti lettori quelli narrativi-. Estrae dalla ladra -la tasca interna- il lunghissimo metro a nastro e, mettendone un capo sul pelo dell’acqua, comincia a decollare, mentre la lingua metallica dello strumento resta ferma nel suo labile contatto con il liquido di nettuno. Ascende finché non si accorge, con una vista da lince, di essere arrivato proprio all’altezza della sua abitazione -ma come avrà fatto!?, nemmeno con un binocolo strepitoso si potrebbe, nella dura realtà, discernere un’equivalenza del genere a centinaia di metri di distanza-. Ebbene, quando il suo superdotato sguardo decreta che è arrivato esattamente all’altitudine del suo nido, una sua mano sta tenendo il flessometro in corrispondenza della tacca ’27 m’. Questa, dunque, è la distanza fra il Tirreno e il punto in cui Fabio si sta ritrovando sospeso in volo come un dirigibile che galleggi nell’aria, e siccome la sua altitudine qui ed ora è equivalente a quella del piano dove risiede, questi 2700 centimetri sono la risposta ufficiale che il sogno sta dando alla sua domanda interiore: ‘a quanti m s. l. m. è il mio appartamento?’.
   All’arrivo della stella diana la sua sveglia lo riporta bruscamente nel regno dei fatti, ma il suo cervello si ricorda della recente misurazione onirica, effettuata dalla sua mente in un’avventura a metà fra il riposo e l’allucinazione. ‘Come mai ho calcolato poco fa 27 metri? Non dovrebbero essere 24 o al massimo 25?’, si chiede la parte di lui più scientifica. No problem, un’altra sua parte, più elastica e pragmatica, minimizza il problema, dicendo a se stessa che in un sogno ci sta un errore. Che saranno mai due metri di differenza? Se la sua palazzina fosse stata costruita come una palafitta, con le fondamenta nel mare, lui sul balcone godrebbe di una panoramica comunque buona, a 24 o 25 o 27 metri di lontananza verticale dal lene sciabordio delle onde. Eppure il divario fra inconscio e realtà lo disturba.
   Cerca di parlarne en passant alla fidanzata, quando dopo qualche ora tubano al telefono, ma la donna, faticando per non mettersi a ridere, si limita a dirgli:  “Perché non ti prendi un periodo di relax, stacchi la spina e ritorni in ufficio dopo una bella vacanza?…”.

Walter Galasso