COME EMINEM, MA IN UN SOGNO IN SONNO REM   [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo  11]

COME EMINEM, MA IN UN SOGNO IN SONNO REM   [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo  11]

COME EMINEM, MA IN UN SOGNO IN SONNO REM   [Colore di fiori tra un poker e un talent – Capitolo  11]

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DI WALTER GALASSO

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   Arturo, in procinto di entrare in una stazione della Metropolitana, si gira per guardare ancora ‘Re Taekwondo’. Pur decidendo di non esplorare il locale dopo aver notato quel suo attributo esterno, in qualche modo, e in maniera quasi involontaria, è incuriosito dall’universo che si cela dietro l’insegna. Non succede tutti i giorni di imbattersi nella lavanderia ‘Karate’ o nel supermercato ‘Kung fu’ o nella boutique ‘Judo’. Quel nome non passa inosservato, anche se nella psiche di questo viaggiatore gli occhi gli si sono diretti solo dopo aver messo l’accento sull’Abutilon. I fiori, insomma, funzionano come polo attrattivo, come magnete furbetto, e costituiscono la calamita numero uno, però anche l’insegna non scherza, ancorché il signor Re l’abbia scelta senza secondi fini professionali, ma solo per la sua passione verso quella forma di combattimento.
   Lo diceva un suo amico, nella fase in cui egli ancora doveva decidere come chiamare il suo regno: occhio al naming!, per voi commercianti, come per i cantanti e le band musicali, la bravura di attribuirsi un’etichetta che colpisca e si faccia ricordare è fondamentale, ed è per questo che alcuni musicisti scelgono uno pseudonimo e prescindono dal loro nome di battesimo. Immagina se un bravissimo chitarrista, all’anagrafe registrato come Pasquale X, non si desse una sorta di ‘nom de plume’ fico e tentasse di spiccare il volo con questo nome proprio:  molti potenziali fan si metterebbero a ridere prima ancora di aver ascoltato un assolo. Si rifiuterebbero di andare a dire a un amico, magari patito di Jimi Hendrix o di Jay-Z, “Io invece stravedo per Pasquale”. Figurati che risate nella comitiva! Quindi, mio caro, aguzza l’ingegno e fatti venire in mente una sigla vincente, capace di diventare, anche nella movida notturna, un punto di riferimento del pubblico più alla moda.
   Ern non ha dato retta a questa dissertazione, anzi in cuor suo ha pensato, dopo il raccontino sul fantomatico Pasquale, che l’amico fosse un po’ svitato. Ha optato per l’arte marziale solo ed esclusivamente perché a lui piace, senza ipotizzare che potesse trasformarsi in un’ulteriore fonte di pesca dell’attenzione. E invece ‘Taekwondo’ si sta configurando come una lenza niente male negli attuali percorsi mentali di Arturo. Il quale, è vero, ha deciso di non dare nemmeno un centesimo al bar, però, dal punto di vista cognitivo, non gli sta riservando una feroce indifferenza, incuriosito com’è da più di un fattore. Soprattutto sta elaborando la doppia ipotesi che questo luogo appartenga a un uomo cinese e che costui sia molto performante nel fare a botte.
   Art, dopo aver gettato un altro sguardo su quei rutilanti fiori gialli e rossi, sbircia dentro il locale, rendendosi conto che, contrariamente a quel che il suo fallace intuito ha supposto, il titolare non è orientale ma italiano, dunque il nome del bar nulla c’entra con l’etnia di chi lo ha coniato. Si rende altresì conto che quell’uomo dietro il bancone -presumibilmente il padrone- non ha l’aria di essere un bravissimo lottatore:  ha un aspetto alquanto loffio, il suo sguardo non denota la capacità di saper menare. La scelta di riferirsi a una delle arti marziali per denominare quell’attività non è pertanto speculare di un’appartenenza al novero dei suoi praticanti. Poi tutto è possibile, chiosa nei suoi pensieri questo strano osservatore. Può darsi che l’esercente, quantunque di aspetto non robusto e vigoroso, sia un provetto guerriero, sappia sferrare calci e pugni meglio di un teppista che dice parolacce e alza la voce e fa vedere un coltello per incutere paura a cittadini perbene.
   Il rio di tali pensieri, assolutamente oziosi e inutili, scorre baldanzoso in questo personaggio curioso, che si pone interrogativi e cerca di dargli una risposta benché l’argomento della sua riflessione sia del tutto frivolo. Va capito: quella insegna -un rettangolo le cui misure sono all’incirca quattro metri di larghezza e cinquanta centimetri di altezza- ha tutti i numeri per vellicare lo stupore di qualcuno. Non è normale che si chiami così un luogo deputato alla vendita di bevande e cibi come tazzine di caffè e cornetti, e alla tessitura di chiacchiere. È strano che il capo di un bar abbia deciso di intitolarlo a una disciplina sportiva incentrata sulle percosse.
   A un uomo come Art, in genere sufficientemente attento a quello che lo circonda, può venire in
mente di elaborare ulteriori congetture in merito a tale stranezza, e non è giusto pensare che questo impegno sia degno di miglior causa. L’attività psichica di un soggetto ha una sua dignità teoretica a prescindere dalle gerarchie d’importanza degli argomenti. Le direzioni lungo le quali una mente produce pensieri vanno comunque rispettate, indipendentemente dall’essere o meno di alto profilo. Esiste, a certi livelli, una sorta di neutralità qualitativa delle idee, nel senso che se un cervello si interessa a una questione, allora vuol dire che questa in qualche modo ha un senso e una rilevanza. Bisogna smetterla con dicotomie autoritarie fra tematiche di serie A e questioni di lana caprina, e anche fra ragionamenti assennati, utili, saggi e divagazioni sciocche: quando in un uomo albeggia un’idea, allora questa è già significativa, legittimata dal fatto che in un oceano complesso qual è l’intelletto di una persona ogni contenuto, anche quello apparentemente meno prestigioso, ha un suo intrinseco valore.
   Il cittadino nota la peculiarità di ‘Re Taekwondo’ quale etichetta di un bar, peregrina denominazione che, per quel che gli risulta, non ha precedenti, almeno in questa città. Atteso che le arti marziali provengono dall’Oriente, e anche sulla base della notevole frequenza con cui si scorgono negozi di persone venute da quei Paesi, quest’uomo, almanaccando in merito, immagina che il proprietario della bottega sia un immigrato originario della Cina, anzi no: della Corea, la Nazione dove quest’arte marziale ha visto la luce  -bravo Art:  si ricorda, dopo l’iniziale supposizione, dello Stato dove quello sport è nato-. Accorgendosi della falsità di tale illazione, prosegue il suo tour di ipotesi, ponendo quell’insegna in relazione con una possibile perizia del barista nell’ambito di quella disciplina, dovendo ben presto accantonare anche questa chiave di lettura, poiché, spiando oltre quelle vetrine, capta l’immagine di un uomo che da un lato pare il boss del bistrot, dall’altro è ben lungi dal sembrare uno che, urlando in modo minaccioso, sia capace di sgominare tre avversari contemporaneamente. Possiamo definire sciocchi questi pensieri? Domanda retorica, la risposta è apoditticamente ‘No!’, in quanto il cervello di questo spettatore ha funzionato, non è sprofondato nel letargo dell’indifferenza, ha notato dettagli e ha costruito sopra il loro intreccio -anche grazie a una discreta dose di fantasia- una catena e un puzzle di idee soggettive.
   Meglio questo lavorio che un passante abulico, incapace di arpionare mentalmente, con una fiocina a guisa di punto interrogativo, uno dei tanti falotici particolari da cui chiunque può essere attorniato. Arturo mostra di possedere una dote decisamente positiva: essere in grado di fare caso a una bizzarria, di notare una stravaganza. Molti, intorno a lui, nemmeno hanno notato quell’insegna sui generis, la sua parentela con quei B-movie in cui guerrieri invitti combattono in modo incredibile, e i fiori, spettacolari e poetici, che adornano lo spazio antistante all’ingresso. Il signor Piuro, invece, ha intercettato questi dati mediante i radar del suo stupore e ha dedicato un paio di minuti a commentare la scoperta. Magari il suo spirito di osservazione, qui ed ora fine a se stesso, in futuro potrà fruttare. Talvolta un curioso, alla guida di un arpione che cattura senso, finisce con il diventare un marpione di successo, tale e quale al suddetto Jay-Z, o a Eminem, anche se più spesso uno come Arturo Piuro può emulare il famoso rapper solo in un sogno in sonno rem.
   Dopo questa fertile digressione, che non gli farà vincere alcun premio ma gli garantisce un’informale superiorità sulla sterile pigrizia mentale dei distratti, l’uomo imbocca finalmente l’ingresso della Metro. Sta abdicando parzialmente al proposito di realizzare una scarpinata per bonificare i propri limiti fisici, dimagrendo e irrobustendo la muscolatura delle proprie gambe:  tant’è, ormai la decisione è presa, egli rinvia a data da destinarsi la realizzazione del suo eroico scopo sportivo. Il mezzo pubblico il cui tetto si nasconde sotto il manto stradale -raggiungibile solo mediante accessi in discesa, gradinate, immersioni vagamente simili a quelle di un palombaro- adesso lo sta attirando con irresistibile appeal. La comodità di arrivare prima a destinazione diventa, per questo sub in senso lato, un imperativo ipotetico a cui non sa dire di no.

Walter Galasso