“FOTOGRAFIA, NON GUARDARMI COSÌ” – Da Michele Smargiassi, repubblica.it,  a romacampodeifiori.academy   [12 ottobre 2024 alle 19:01]

“FOTOGRAFIA, NON GUARDARMI COSÌ” – Da Michele Smargiassi, repubblica.it,  a romacampodeifiori.academy   [12 ottobre 2024 alle 19:01]

“FOTOGRAFIA, NON GUARDARMI COSÌ” – Da Michele Smargiassi, repubblica.it,  a romacampodeifiori.academy   [12 ottobre 2024 alle 19:01]

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DI WALTER GALASSO

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   Michele Smargiassi, una nota firma a livello nazionale, ha fondato sul quotidiano “la Repubblica” un Blog sull’importanza culturale delle fotografie, battezzandolo “Fotocrazia” nella misura in cui esse sono depositarie di un vero, sottile, eterogeneo potere. Il giornalista, valente studioso del ‘pianeta foto’ sin dalla sua tesi di laurea, in “Fotografia, non guardarmi così” -in data 12 ottobre 2024- rende omaggio a Katja Petrowskaja, autrice di un’opera ch’egli ha apprezzata tout court per il suo titolo, “La foto mi guardava”, prima ancora di approfondire la sua conoscenza del resto del testo -inizialmente pubblicato a puntate su un giornale- e della scrittrice.
   In effetti nel suddetto connubio fra un soggetto e un verbo alberga, fra le righe, un valore molto rilevante, cioè un sintetico esempio di ‘rivolta degli iloti’ in senso lato. Una cosa, qual è ogni tipo di picture, tradizionalmente ultima ruota del carro e maglia nera nella gerarchica classifica degli enti, si emancipa dalla sua sfigata impossibilità di compiere un’azione, si affranca dalla condanna di doverla per forza solo subire.
   Questo nuovo corso della sua dignità ha da dire grazie senza dubbio alle menti, per esempio quella dell’antropologo Alfred Gell, che hanno scorto in ogni immagine la chance della cosiddetta agency, forza con cui essa ammalia, interessa, conquide, aggioga, educa l’ermeneutico spettatore dei suoi pixel. Il precipuo grazie, il più squisito senso di riconoscenza per l’attingimento di tale evoluzione, deve però essere rivolto, da ogni fotografia -espressione delle nuove arti visive- alle sorelle maggiori, cioè alle superlative opere della più elevata Pittura.
   È con i classici capolavori della Storia dell’Arte che comincia a scricchiolare il banale convincimento che un’immagine non possa essere che passiva, assoggettata all’eteronomo dominio di chi la guardi, per certi versi in sua balia. Ogni ‘encantado’ aficionado, in estasi di fronte a un masterpiece, prova tali e tante emozioni, in un tourbillon bello e anche simile a un soqquadro psicologico, che la sua presunzione deve alzare bandiera bianca. Dagli oggi e dagli domani, la persona che percepisce e ammira un dipinto finisce con il capire che non ne è una specie di ‘bwana’, artefice di una metamorfosi in cui esso venga vivificato. No, un quadro, se ad alti livelli, con tutti i crismi della vera grandezza, ha una forza sua, e in essa, appunto, la capacità di esercitare un’azione seduttiva. Tale energia non può certo arrivare allo status di libero arbitrio, certe esagerazioni sono possibili solo in una fiction, però è pur sempre una forma di agency.
   Così le mirabilia di Giotto o Caravaggio o Raffaello Sanzio come, mutatis mutandis, una foto, una di un artista e/ma anche uno scatto, semplice e dilettantesco, eseguito con uno smartphone e racchiuso nella sua memoria. E infatti nel libro in oggetto Katja Petrowskaja commenta pure, nel procedimento letterario denominato ‘ekphrasis’, foto non professionistiche.
   Michele Smargiassi è un intellettuale che, a suo tempo, non si è peritato di criticare i romanzi di figure di Lalla Romano -nell’articolo, ricordando questo suo atteggiamento, sottolinea quanto fossero “lodatissimi”, e dunque quanto lui sia apparso un bastian contrario-. Vi vedeva una forma di dominio in cui la prosa esercitava una pressione a guisa di ‘nobilitazione’ e ‘commissariamento’ di ‘fragili’ immagini, reputate incomplete e culturalmente monche senza quell’invadente interpretazione. Uno studioso che ha osato con coraggio -teoretico e non solo- dissentire dall’omogazione del mainstream non ha, a maggior ragione, nessuna difficoltà nell’apprezzare ma con qualche riserva l’opera della scrittrice di Kiev, allieva del semiologo Juri Lotman. Il commento a immagini elaborato dall’autrice, sicuramente pregevole per tanti motivi, può comunque somigliare al venti per cento del concetto di effrazione -le parole entrano con la forza nell’ideale casa in cui abita il senso di un clic- e al 30% di una violazione della loro privacy. Il giornalista, nel suo brillante pezzo, è lungi dal voler trovare il pelo nell’uovo. Desidera solo separare il grano -tantissimo, una quantità badiale- dal loglio, che è poco più di uno zinzino. Lui preferisce che l’azione compiuta da una foto si estrinsechi, in un suo sensibile ed empatico spettatore, in una vasta e intangibile gamma d’emozioni “afasiche”. “St!”, pare dire e suggerire a chi, calamitato un lunedì da un selfie fatto il giorno prima insieme al suo idolo, reagisca a tale malia commentandolo con un poema di novemila pagine.
   Al netto di tale appunto, messi i puntini sulle sue artistiche ‘i’, il dottor Smargiassi poi, nel ricco proseguimento del testo, ritorna con sentito coinvolgimento all’ammirazione da cui ha preso le mosse. A prescindere dal modo in cui si possa tributare a una foto il riconoscimento di una sua speciale ‘anima’, quel che più conta in tale meditazione è la sua intrigante forza di comunicare con noi, suggestionare il nostro rapito Io, parlarci -a suon di ipnotici condizionamenti- del suo referente ontologico. E se gli occhi di un essere umano vedano una fotografia di se stesso in un remoto passato, situazione su cui la Petrowskaja mette un peculiare accento, le reciproche implicazioni fra soggetto e oggetto, inclusive anche di un vivace feedback, si complicano, sollecitando gli studiosi di questo delicato argomento a svegliarsi prima, in una levataccia, e a fare, come secchioni, gli straordinari, per capire di più.
   Smargiassi, bravo pensatore, sa di non sapere, sposa il paradosso socratico e, dopo aver scritto, a proposito delle fotografie, “Usano la porta del nostro sguardo per entrarci dentro”, elabora, come explicit, una domanda: “Prenderanno educatamente congedo o si sdraieranno sul divano del soggiorno per restare sempre lì?”. Azzardo un’apparente risposta -in realtà è un sospiro di meraviglia-: delle due due, nel senso che una foto, dopo essere stata percepita, è destinata ad allontanarsi dalle pupille, ma resta nell’interiorità di chi l’ha vista. Nella mente e/o nel cuore, quasi sempre nell’oceano dell’inconscio.

Walter Galasso