NO TRAVEL E NO TRAVE   [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 11   (NO TO RACISM)]

NO TRAVEL E NO TRAVE   [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 11   (NO TO RACISM)]

NO TRAVEL E NO TRAVE   [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 11   (NO TO RACISM)]

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DI WALTER GALASSO

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   In un treno -ignoto il suo costo, anche perché quasi mai ci si chiede a quanto possa ammontare il prezzo di vagoni ferroviari- viaggiano due giovani immigrati. Chiacchierano tra loro in maniera torrentizia, e a un certo punto uno estrae da una tasca una pinzetta -facente parte di un gruppo d’utensili fra cui conta pure un apribottiglie- e inizia a tagliarsi le unghie delle mani. Presta un’attenzione quasi scientifica a questa operazione, continuando a parlare con il compagno di viaggio senza guardarlo negli occhi, ma non per questo abbandonandosi a domande e risposte ed esclamazioni prive di senso. La sua mente seguita a essere coerente nel cicaleccio, mentre nel frattempo una parte della sua intelligenza è tutta intenta a quella ripetizione di ‘zacchete’.
   Quando passa il controllore, sormontato da un serio cappello di ordinanza -forse non se lo toglie nemmeno quando va in toilette-, non gli chiede il biglietto, e una donna, Paola Alfetta, seduta a una breve distanza da loro, comincia a mugugnare -non sotto i baffi, perché è una persona con i peli ai posti giusti-. Borbotta contro questa forma di permissivismo: dando per scontato che i due non siano muniti di un idoneo titolo di viaggio, si chiede come mai lei debba scucire puntualmente soldi per impossessarsi del ticket e quelli siano invece esonerati dal compiere il proprio dovere. Che bengodi!, che pacchia per questi personaggi che saltano allegramente da un mezzo pubblico ad un altro con lo stesso relax che può avere un soggetto che abbia acquistato un abbonamento, però, a differenza di quest’ultimo, non avendo speso un bel niente prima di salire a bordo.
   La signora, e che caz.., protesta, ha voglia di gridare “basta!” e sogna che, dopo questo urlo, qualcuno la senta e impari il buon senso dalle sue esortazioni a una società meno corrosa da un laissez faire fuori luogo. Il la a questo suo nervosismo è stato dato, giorni fa, da una scena su un autobus cittadino. Nel Comune dove ella risiede le capita spesso di imbattersi in un fenomeno che la urta fino a cagionare nel suo sistema nervoso una forma di allegorica allergia: molti salgono sul torpedone, non obliterano nessun pezzo di carta che funga da salvacondotto e nessuno si prende la briga di stopparne la illegale anarchia. Tra l’altro in quella azienda di trasporti lavora la signora Tiziana -Titty per i suoi amanti-, una ‘controllora’ che, con chi dice lei, assume un atteggiamento alquanto inflessibile e pignolo. Donna carina, talvolta sexy quando la sua mise risulti -volontariamente o meno- sensuale e provocante, è sempre pronta, come uno sceriffo in gonnella, a chiedere a qualche passeggero indigeno, con modi talvolta sgarbati, di esibire il biglietto, pena un’immediata multa e un conseguente obbligo di scendere dal veicolo dopo aver conciliato la contravvenzione. Come mai con i viaggiatori di colore, si chiede la cittadina polemica, questa ispettrice si dimentica di espletare le sue mansioni? Ordini dall’alto? Licenze ideologiche regalate a questi ‘portoghesi’? Non le sembra giusto questo sconto, le pare che con i viaggiatori si usino due pesi e due misure, visto che a lei, invece, la stessa addetta in più di un’occasione ha richiesto -con piglio autoritario- di dimostrarle di avere le carte in regola per potersi avvalere dei loro bus.
   L’altro giorno Paola si è sfogata durante una conversazione. Ha sottolineato come quei ‘clandestini’ non solo non versino nemmeno l’ombra di un quattrino prima di salire sui mezzi pubblici, ma peggiorino la propria maleducazione allorquando, una volta sul veicolo, si spaparacchiano su qualche sedile, ed essendo molti occupano tutti i posti a sedere. Avariata ciliegia sulla torta: non cedono mai il posto a una donna, e questo a lei dà molto fastidio. Ogni tanto qualche autista, nei supplementari panni di controllore, prende l’iniziativa di chiedergli se abbiano con sé il biglietto, e talvolta c’è chi, fra loro, reagisce male. Pare che una settimana fa uno abbia dato in escandescenze, abbia assunto un atteggiamento minaccioso: alcuni amici lo hanno allontanato dall’intimorito pilota, e a quest’ultimo, con prosa sibillina, hanno consigliato di fare attenzione, ché quel loro compagno è alquanto irascibile, e potrebbe decidere di vendicarsi e fargliela pagare. Un’intimidazione in piena regola, roba da pazzi, il Far West trapiantato in questo centro, la tracotanza spaccona elevata a forma mentis da gettare addosso a un educato cittadino che sta facendo solo il proprio dovere.
   Lady Alfetta vorrebbe protestare le proprie ragioni alzando la voce, sporgendo querela presso un commissariato, rilasciando qualche intervista al vetriolo davanti a microfoni e taccuini di operatori dei mass media, concionando in pubblico, davanti a una platea vogliosa di votarla alle prossime elezioni. Lei è pronta a giurarlo sulla propria candida fedina penale: questi tizi hanno un torto marcio, la democrazia non c’entra un tubo in questo discorso, chiunque, di qualsiasi Nazione, è tenuto a rispettare le regole, altrimenti subentra una diseguaglianza al contrario. La legge è uguale per tutti: non è forse presente in ogni tribunale questa bellissima frase? E allora perché lei, integerrima miss, ha da pagare il suo esoso abbonamento e quelli, passeggeri gratis, la fanno puntualmente franca?
   Miro, un suo ex -sono rimasti in buoni rapporti-, siccome sa quanto ella tenga a questo principio, si prefigge -per scherzare ma non troppo- di regalarle, per il suo onomastico, una scatoletta zeppa di biglietti:  le dirà di darli a quelle persone quando le riveda sul mezzo pubblico, così lei fa la figura della benefattrice filantropica e il suo sistema nervoso si rilassa e produce sulle sue labbra un radioso sorriso.
   Prese in giro a parte, nella cerchia della signora c’è chi in maniera seria critica queste sue critiche -cri… cri…, adesso qualcuno si aspetta un grillo-, sospettando che Paola sia leggermente razzista o comunque piena di pregiudizi, prevenuta, non serena e obiettiva nelle sue crociate contro questi viaggiatori. Lei, infatti, deduce che un uomo non ha un biglietto già di primo acchito, solo perché lo vede vestito male, con una faccia che secondo il suo altero giudizio -snob e bacato- tradisce pochezza sociale. Se poi è afro… La sua espressione quasi schifata di fronte a quelle persone sembra volerle definire teppa, fauna della steppa, feccia dello Stato, gentume. Ella non ha bisogno di nessuna verifica, capisce subito di che pasta sia fatto un cittadino. Lo guarda mezzo secondo e già sa se abbia un buon posto di lavoro e sia educato e non puzzi e non la faccia svenire se in un mezzo pubblico lei capiti nei paraggi delle sue ascelle, e se in qualche sua tasca risieda un idoneo titolo di viaggio. L’intuito che ci sta a fare? Dove andrà a finire la società se qui dobbiamo metterci a invocare, prima di valutare qualcuno, la propedeutica di un metodo analitico simile all’acribia dei laboratori scientifici? Quelli viaggiano a ufo, lei ne è certa, ops!, che gaffe: pardon, lei ne è certissima -di questo passo la civiltà le laverà il cervello e le farà commettere l’errore di essere troppo sobria-, e vorrebbe sfilare davanti al Parlamento, capitanando un pool di battagliere milionarie, tutte con un cartello in avorio e oro, e sopra la sua superficie una scritta in brillantini: ‘PARIA? NO TRAVEL!’. Sì, chi è uno straccione -e si vede da un chilometro che non ha il biglietto- non ha il diritto di viaggiare e ha il dovere di scendere alla prima fermata, anzi di non salire proprio su un treno o un torpedone, di fermarsi davanti al predellino e contemplarlo, come solo i poveracci sanno fare quando sono davanti a un eldorado e hanno l’acquolina in bocca e la loro miseria invidia l’altrui ricchezza.
   La tipa è tosta, si mette d’impegno e addirittura solleva il caso su un giornale locale: meno permissivismo, tolleranza zero con chi usurpa servizi pubblici, controlli al tappeto di tutti i viaggiatori, ronde di probi cittadini, in giro sempre in gruppo, o almeno in due quando il bersaglio sia un singolo, affinché un controllore tenga fermo uno di questi clandestini e l’altro ispezioni il suo portafogli, per verificare se ci sia il biglietto. Il ‘buono’ preposto al monitoraggio manuale può essere il meno Maciste fra questi ausiliari delle forze dell’ordine, tanto quei portafogli, capirai, sono quasi vuoti, pesano come una piuma e non occorre il campione mondiale di culturismo per prenderne uno.
   Nonostante questo impegno di Paola, pasionaria str…enua, su treni e autobus chi di dovere continua ad avere un atteggiamento normale verso quei soggetti, nel senso che, come i controllori fanno con tutti, talvolta gli chiedono il biglietto e talvolta no, e loro, come tutti, talvolta ce l’hanno e talvolta no. Ma questo paradossale colpo di scena -la sorpresa è nell’assenza di qualsivoglia imprevisto nel tran tran dei trasporti- è niente rispetto a un evento che succede dopo qualche settimana.
   La dottoressa Alfetta sta viaggiando, ancora una volta, su un treno, è diretta a un aeroporto, ma oggi sembra un’altra persona. Sovrappensiero, negli occhi la consueta mutria è stata sostituita da uno sguardo alquanto meditativo, e non si capisce se sia preoccupato o stanco o espressione di un cambiamento culturale avvenuto ieri o avantieri o stamattina. Addirittura resta quasi indifferente di fronte a un uomo che le sembra male in arnese: lo vede mentre, in una stazione secondaria, sale a bordo senza avvicinarsi a una moderna obliteratrice, per ficcare nella sua bocca un biglietto e permettere a quella ‘cosa giusta’ di dargli un rumoroso morso e un valore giuridico. Costui, dunque, nell’ottica di Paola è un clandestino -si sbaglia, ché questa persona non ha il biglietto in quanto è abbonata-, ma lei, pur notando la scena, e pur pensando ‘questo abita sicuramente in qualche casa popolare’, pare aliena dalla voglia di stigmatizzare il membro di una classe al suo cuore invisa. Costui si sistema proprio nel vagone dove sta lei, e le narici della donna non si chiedono se il miserabile emani un tanfo. Strano, dato che il suo naso, quando si avvicini un essere umano che le appaia di infimo grado, somiglia a quello di un cane che abbia avuto dalla polizia l’incarico di intuire se ci sia droga in qualche pacco. Oggi, evidentemente, la cittadina sta agendo in un comportamento eccezionale.
   Paola è inquieta, porta con sé un trolley e due borse firmate -il logo di un noto stilista francese brilla sul loro design- e sembra quasi che a questi bagagli non riservi l’affetto che la sua psiche suole nutrire verso tutto ciò che le appartiene. Quando arriva a destinazione succede l’impensabile: è talmente distratta da dimenticarsi sul sedile una delle due borse griffate. L’umile passeggero, dopo un paio di minuti, si accorge di quell’accessorio e, senza neanche aprirlo -quantunque il suo lusso lasci pensare che dentro vi possano essere molti soldi-, lo prende e, con fare da galantuomo, lo va a consegnare al controllore, il quale, a sua volta, lo dà, non appena possibile, alla Polfer.
   Non è certo la prima volta che succede un evento del genere, abbondano gli oggetti smarriti e quando, come in questo caso, sia possibile risalire alla persona cui appartengono, è un gioco da ragazzi contattarla e riconsegnarle il perduto bene. Stavolta, però, le forze dell’ordine trovano dentro la bag, insieme a molte banconote, un documento che le induce a qualche verifica:  la traccia di un bonifico bancario, e fin qui nulla di strano, però la cifra è assai alta e vi è di mezzo un Paese straniero noto per la caratteristica di attirare capitali vogliosi di eludere e frodare il patrio erario. Ancora più strano, però, è che, nelle successive indagini, emerge sì un misfatto, ma non è relativo a questo bonifico, risultato in regola da tutti i punti di vista. Nel prendere informazioni su Paola, pensando che potesse essersi macchiata di evasione fiscale, hanno scoperto che, quanto alle tasse, ella è onesta, ma, come è emerso dal sagace incrocio dei dati sul suo conto, fatto da un commissario, costei, funzionaria della pubblica amministrazione, ha indulto al reato di peculato.
   È stato necessario un po’ di tempo per addivenire a questa incriminazione, ben tre settimane, ma sin dalla seconda, tredici giorni dopo il sorprendente evento del ‘lost item’ sul treno, sono filtrate indiscrezioni -nell’inchiesta è stato coinvolto anche un alto papavero della burocrazia, e ciò ha moltiplicato i riflettori su questo reato-. Un giornale, rivale di quello su cui la signora ha denunciato i controllori che non controllano i ticket, comincia a parlarne.
   Quando il sospetto diventa certezza e il ‘forse’ una prova e l’imputata una condannata, la medesima testata presenta questa cittadina come il classico caso di persona che vitupera il piccolo difetto altrui -pari a una pagliuzza- e glissa su gravi pecche di se stessa -enormi come una massiccia longarina, trasferita dal luogo di produzione a quello di definitiva installazione a bordo di un titanico Tir e accanto alla scritta ‘Trasporto Eccezionale’-. Il quotidiano, facendo riferimento, nell’occhiello di un pezzo, alla campagna condotta da questa dirigente contro i presunti clandestini, e quindi alla sua voglia che a quei poveretti si vieti ogni ‘travel’, titola:  “NO TRAVEL E NO TRAVE”,  cioè ecco la tizia che vuole privare un poveraccio del diritto di un viaggio, pensando che non abbia il biglietto, e non vede la trave nel proprio occhio.

Walter Galasso