IL BINO ZERBINO:  SOTTONE COL PAPAVERO,  STRONZONE  CON IL POVERO   [Bozzetto  23]

IL BINO ZERBINO:  SOTTONE COL PAPAVERO,  STRONZONE  CON IL POVERO   [Bozzetto  23]

IL BINO ZERBINO:  SOTTONE COL PAPAVERO,  STRONZONE  CON IL POVERO   [Bozzetto  23]

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DI WALTER GALASSO

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   C’è un ex mandarino in una banca ubicata ad Anonimo – città della Regione Rebus-, in via Libertà. L’onorevole Alfredo Procacci, fresco di elezione a Presidente di un’Associazione Culturale che conta poco e niente, interagisce, presso uno sportello front office, con uno schivo dipendente, Giorgio, schiavo d’invidia.
   Il pezzo grosso è stato per un diuturno periodo il vivace e retorico sindaco di questa cittadina. Noto principe del foro, avvezzo a parlare in punta di forchetta, con un’enciclopedica cultura -tant’è che molti suoi aficionados lo reputano un pozzo di scienza-, questo combattivo e barricadiero politico ha esercitato il suo prestigioso ruolo con particolare slancio. Indefesso nell’esercizio delle sue funzioni amministrative, ha capitanato questo Comune con un esaltato campanilismo. E gli è sempre piaciuto, ogniqualvolta gli è stato possibile, ostentare e flexare questo viscerale attaccamento alle sue radici municipali. Più volte ha comunicato urbi et orbi ch’egli reputa, sia nella sua mente che nel suo cuore, Anonimo una specie di sua Heimat. Ah, quanti peana ha rivolto, in preda a una mezza patologia ideologica, a questo paesone! Lo ha decantato, in milioni di comizi e interviste, come una town bellissima, nel gotha delle più significative città del Bel Paese.
   Quando, in una di queste sviolinate, un giornalista si è permesso di confutarlo, facendogli tra l’altro notare che, alla luce del suo ruolo, appariva Cicero pro domo sua, Alfredo s’è incazzato come un’aquila che veda un suo bebè molestato e aggredito da un gabbiano. Ne ha dette di ogni, ha perso la trebisonda in un j’accuse a un j’accuse. E, nella sfumatura forse più comica della sua inconsulta reazione, ha voluto addirittura presentare le sue lodi (a questo posto) come uno scientifico effetto d’una forma mentis obiettiva. Davvero il non plus ultra della becera stupidaggine. Lui onesto intellettualmente! Ma quale obiettività d’Egitto! Questo territorio appare, a chiunque ami davvero la verità e voglia sempre e comunque, in ogni argomento, dire le cose come stanno, un paesone incartapecorito, arretrato, provinciale, zeppo di difetti. I suoi presunti punti di forza, ammesso e non concesso che ne abbia, scaturiscono solo ed esclusivamente dall’ombrello protettivo d’un Palazzo a cui sta a cuore. Nella stanza dei bottoni, anche nella sua sezione apicale, cioè l’ufficio del Governatore di Rebus, molti maggiorenti fanno di tutto, da decenni, per avvantaggiarlo in ogni modo, a scapito del sacrosanto valore di Pari Opportunità fra tutti i pezzi di qualsivoglia comunità. Il signor sindaco, mentendo sapendo di mentire, ha simulato -perché gli faceva tanto comodo dire bugie, taroccando ad usum Delphini la presentazione della realtà- una totale ignoranza di questo feudale regime di privilegi. Una collezione di avanie e soprusi e sperequazioni e favoritismi che deve suscitare una feroce indignazione in chiunque ami al mille per cento la democrazia.
   Il dottor Procacci, a parte questa pacchiana e deplorevole parzialità, merita comunque un mirallegro per l’ostinata e romantica passione con e nella quale ha guidato le sorti di Anonimo. Ha dato l’anima per potenziarla, s’è speso in prima persona, un anno ha addirittura rinunciato alle vacanze estive per rimanere, nel bel mezzo del solleone d’agosto, in questo capoluogo e ispezionarne de visu ogni angolo, dall’alfa all’omega. Voleva vedere con i propri occhi che aria tirasse, come stesse ogni strada, se ci fosse qualche rione particolarmente bisognoso di un urgente restyling. Un mercoledì pomeriggio è arrivato a pulire la street più centrale. S’è ammantato d’una salopette noisette, ha indossato guanti usa e getta, s’è armato di scopa paletta e un bustone della monnezza e, in sinergia con un codazzo di zelanti leccaculo, ha contribuito personalmente, dando il buon esempio, a nettare i due marciapiedi. Da questo punto di vista non possiamo che esclamare “bene, bravo, bis!”. Finalmente un potente che scende dal piedistallo e fatica, gettando sudore, per aiutare gli umili operai della nettezza urbana. Un merito, certo, ammorbato da un vizio ideologico e propagantistico di fondo, perché questo ras si è comportato così soprattutto per ostentare il suo feticistico amore, al confine con la venerazione, per il Comune da lui amministrato. Però in questo merito il politico è stato comunque un allegorico marito d’una indubbia abilità.
   Alla luce di questa osmosi si può pensare che i suoi concittadini, memori di cotanto affetto, serbino quintali di gratitudine per l’ex numero uno in fusciacca tricolore, e che egli attualmente, quando si trova su questo territorio, sia protagonista di bagni di folla, battimani e ovazioni al suo passaggio, acquiescenti richieste di un selfie e/o di un autografo. Così come molti possono dare per scontato che da queste parti un uomo che ha occupato la prima poltrona amministrativa per tanto tempo venga visto come un mito, da riverire enfaticamente, magari con piaggeria.
   Orbene, chi pensi tutto ciò prende un granciporro, come dimostra l’attuale situazione in cui il personaggio si trova. Nell’Istituto, una filiale della Banca Internazionale del Conto, non se lo fila nessuno. Mentre lui, con una cravatta che non somiglia più a una spada, è intento a effettuare una serie di bonifici, nessuno si degna di salutarlo, di trattarlo con riguardo o comunque con calorosa affabilità. Tutti, dall’apicale direttrice -una madame chic, oriunda di un’altra città e qui trapiantata per seguire il marito, un creso che possiede e presiede un’industria ad alti livelli- all’ultimo degli impiegati, il brizzolato travet Gino Formaggio, lo snobbano.
   Certo, nessuna persona si permette di mancargli volgarmente di rispetto, aggredendolo verbalmente, imputandogli qualche nefandezza nel passato esercizio delle sue funzioni di sindaco. Né è presente qualche astioso detrattore che gli rimproveri la sua ‘apostasia’, egli essendo un voltagabbana che, fino a tre anni or sono facente parte di ‘Evviva Noi’, quando questo partito è entrato in crisi, perdendo consensi con drammatica velocità, senza scrupoli lo ha abbandonato, saltando sul carro, allora vincitore, della ‘Sega’. ‘Sto personaggio, indulgendo a un così vigliacco e proditorio modus operandi, l’ha fatta davvero sporca. Tant’è che un celebre giornalista, un’insigne firma d’una storica e gloriosa testata, gli ha dedicato un pamphlet al vetriolo, presentandolo come il tipico voltagabbana. Egli ha peccato, gravemente, ha derogato all’abbiccì della moralità politica, e pure dell’etica tout court. Oggi nessuno gli rinfaccia questo turpe opportunismo, e questa clemenza è già un regalo a livello di tolleranza.
   Però desta comunque sorpresa, appunto, il fatto che tutti, nessuno escluso, lo vogliano umiliare facendo finta di non riconoscerlo. Lui, a sua volta, fa finta di non farci caso, probabilmente non vuole dare a queste persone la sadica e beffarda soddisfazione di vederlo in preda a urticante stizza. Sotto sotto, è chiaro, questo larvato sgarro gli brucia, però il suo Io, dotato di notevole aplomb, è bravo a dissimulare il suo rammarico. Si limita a togliersi, in certo senso, un sassolino da una scarpa -lui crede-, dicendo a voce molto alta, durante una conversazione telefonica ch’egli effettua mentre il bancario compila dei documenti, che fra qualche ora terrà un importante discorso, come Presidente, nella sua Associazione. Siccome un’Associazione Culturale poco potente non può raccomandare concubine e nipoti di…, tutti i bancari continuano a ignorarlo.
   Un astante, Giuseppe Var, cliente in attesa che arrivi il suo turno, un giornalista free lance, sorride -lo smile appare sulle labbra interiori del suo animo-. Conosce molto bene questo posto, perché lavora in una testata locale. Si ricorda, in un flashback, di un episodio accaduto in questo Istituto anni fa: lo stesso Giorgio, interagendo con un assessore del dottor Procacci, fu, come dire?, gentilissimo, scriviamo pure ‘servile’. Già zerbino con un potente, la sua vigliacca mancanza di riguardo verso un ex papavero sta sporcando ulteriormente il tappetino ch’egli era stato metaforicamente. Peppino Var, schifato dal trattamento che l’impiegato sta sparando addosso al dottor Procacci, si prefigge di punirlo con un articolo al vetriolo. Al momento ignora quale possa esserne il titolo. Gli suggerisco “Il bino zerbino: sottone col papavero, stronzone con il povero”.

Walter Galasso