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Gli ippopotami vivono e sono molto contenti
A fotografarli mostrano tutti i denti
E dimenano il sedere, oggi molto più di ieri
Gli ippopotami ti sorridono volentieri
Si racconta che un tempo eran pallidi ed impulsivi
Ma era il tempo che c’erano i buoni e i cattivi
I più vecchi ogni tanto rimpiangono la fanghiglia
I più giovani stanno benissimo in famiglia
Gli ippopotami non hanno pensieri, ma sembrano meditare
E si dicono tutti che ogni ippopotamo è uguale
Anche tra loro c’è chi suda, chi scende e chi sale
Ma un ippopotamo vero resta normale
Ma un ippopotamo serio resta normale
Ippopotami, pà pà potami
Ippopotami, pà pà potami
D’estate in montagna, d’inverno in riviera
Li vedi passare vestiti da sera
Ippopotami, pà pà potami
Ippopotami, pà pà potami
Discendono il fiume se c’è la corrente
Si stancano poco, pochissimo o niente
Gli ippopotami ballano quando nessuno li vede
E ogni tanto ballando ballando si pestano un piede
Ma si chiedono scusa perché maleducati non son
E poi quelli che sanno il francese dicon “pardon”
Gli ippopotami non fanno niente, basta la presenza
Ippopotami non si nasce, si diventa
E se li vedi con gli occhi socchiusi
Non è vero che stanno a dormire
Fanno finta per non farsi infastidire
Gli ippopotami una volta litigavano con le iene
Ma anche quelle per loro oramai sono bestie per bene
E poi questa è una libera scelta e va rispettata
Perché l’acqua che hanno bevuto è acqua passata
Tutta l’acqua che hanno bevuto è acqua passata
Ippopotami, pà pà potami
Ippopotami, pà pà potami
Galleggiano lenti, rotondi e contenti
La faccia però è solo quella coi denti
Ippopotami, pà pà potami
Ippopotami, pà pà potami
Annusano il vento di terre lontane
Si accoppiano stanchi contando le lune
Gli ippopotami li puoi dividere in padri, madri e figli
Però in fondo non ce n’è uno che non si assomigli
Quando mangiano è l’ora più bella, mangiano di tutto
Solo un altro ippopotamo può dire a un ippopotamo: “Sei brutto!”
E alla fine si riuniscono tutti a guardare le stelle
Perché uno gli ha detto una volta: “Noi veniamo da quelle”
Ma siccome non hanno le mani per farsi una scala
Tornan tutti nell’acqua aspettando la prossima sera
Tornan tutti nell’acqua aspettando la prossima sera
Ippopotami, pà pà potami
Ippopotami, pà pà potami
Il primo dell’anno van tutti in crociera
E cantano in coro: “Bel tempo si spera”
Ippopotami, pà pà potami
Ippopotami, pà pà potami
E sognano dietro agli occhiali da sole
Domani si cambia, domani si vola
Ippopotami, pà pà
Ippopotami, pà pà potami
Dichiarano seri alla televisione
Che i giovani vogliono un mondo migliore
Ippopotami, pà pà potami
Ippopotami, pà pà potami
Distesi nel sole sbadigliano piano
E sembrano fermi, ma vanno lontano
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DI WALTER GALASSO
Gli Hippos, ovviamente, non c’entrano niente. Questi animali, bellissimi come tutta la fauna, si limitano a prestare la loro immagine alla mezza favola in oggetto, e non sono certo inclusi nel bersaglio della stigmatizzazione, esattamente come succede quando un omuncolo viene apostrofato con ‘verme’ ma nessun verme vero ha le sue colpe e commette i suoi errori.
Giova altresì un secondo preambolo, relativo alla mia interpretazione di questa poesia. I ‘cattivi’ in oggetto, sbertucciati con tagliente eleganza dal cantautore Roberto Vecchioni, non appartengono a una precisa classe sociale, nella misura in cui la responsabilità morale deve essere sempre, esattamente come quella penale, individuale. Questo sito, la sua Academy e la sua Accademia, la mia filosofia, super partes a livello di atteggiamento teoretico a priori, rispettano ogni categoria generale, partendo dal presupposto che in tutti i gruppi possibili e immaginabili -dai ceti alle Nazioni, dai democratici partiti politici alle professioni, dai tipi psicologici alle tifoserie sportive- ci possano essere persone perfette e altre imperfette. Mai generalizzare: questo dettame deve costituire, per un vero atleta di Cultura, un principio inconcusso e indefettibile, altrimenti il posto della filosofia è usurpato da interessata faziosità, dal viziaccio delle simpatie e antipatie, dalla propaganda ideologica, dai paraocchi, dai preconcetti… dal razzismo. Ognuno è un pianeta a sé stante, risponde personalmente delle proprie azioni e la sua appartenenza a un insieme né gli garantisce lodi senza che lui le meriti, né lo condanna a critiche per colpe altrui.
Nel caso in questione la negatività dei protagonisti -nella realtà sono animali splendidi, originalissimi per tanti motivi- si può intuire prima di ascoltare la canzone, è subito chiaro dove l’artista vada a parare: a un ritratto al vetriolo, tanto sibillino e larvato quanto tranchant, di un comportamento riprovevole. Però il tipo sul banco degli imputati è una forma mentis che si può riscontrare, appunto, in qualsiasi categoria. E anche se statisticamente in una categoria, in un determinato arco di tempo, esso sia registrato mille volte e in un’altra dieci, non per questo chi nella prima non fa parte di quel migliaio merita di stare insieme ai colpevoli nel mirino della reprimenda.
“Ippopotami”, lunga perla del cantautorato italiano, oltre nove minuti d’un efficace mix di poesia e giambico sarcasmo. Versi sentiti dall’autore, come dimostra, per esempio, un ritornello che è un intonato inno di culturale disprezzo. Tutto il brano è caratterizzato da un’alta valenza ‘cinematografica’ delle note. Una musica che rende bene le idee veicolate, cioè l’identikit d’una tipologia messa alla berlina da Vecchioni.
Un indiretto leitmotiv nella vaga allegoria è il tran tran ibrido, davanti sornione e dietro stronzo, dei protagonisti. I quali costituiscono, in una permalosità che solo nel subire il fuoco amico della colleganza può afflosciarsi, una tipica casta, omogeneità del resto attestata dal fatto che si assomigliano tutti. Solo uno di loro può offendere, “sei brutto!”, un altro. Anche in tal caso, bene inteso, al lavaggio di panni sporchi in famiglia seguirà una vindice resa dei conti, però almeno criticare si può, mentre se una testa di casta venga trattata male da un ‘esterno’ scatta “lei non ha i titoli per…”, come se l’intelligenza non sia libera e universale, e come se per forza un’antilope non possa giudicare un ippopotamo con la stessa competenza di un altro ippopotamo. “E si dicono tutti che ogni ippopotamo è uguale”: ah, su questo la casta non transige, il termine “collega”, o comunque lo status di parigrado nel sistema, è un mito, rimanda al concetto di pleiade eletta e su un piedistallo, e nella consorteria ognuno sa bene che il proprio prestigio individuale è forte nella misura in cui tutti gli altri appartenenti alla stessa dimensione lo hanno e gustano. Questo carisma si fonda sull”altro esterno’ come disvalore contraltare al loro potere categoriale.
Dietro la facciata, al riparo da sguardi ‘esogeni’, sono più se stessi, liberi di scatenarsi nella libido della loro verità, “ballano quando nessuno li vede / E ogni tanto ballando ballando si pestano un piede”, ma tutto finisce a vino e tarallucci (scaduti, ma recita la scritta “Preferibilmente”, ergo si possono in fondo mangiare), magari col corollario di un ‘pardon’ da parvenu.
Costoro sono dei privilegiati. Stanno benone, “sono molto contenti”, anzi, a dirla tutta, “Galleggiano lenti, rotondi e contenti”. Forse la cornucopia che simboleggia il loro benessere si deve anche alla loro onnivora, famelica fabbrica dell’appetito. Sono dei ‘magna magna”, “Quando mangiano è l’ora più bella, mangiano di tutto”. Ah, che meraviglia! essere in quella stazza (peso sociale, mica i loro chili, che in certi esemplari possono essere più di quattromila). “Si stancano poco, pochissimo o niente”, non perché siano dei supermen che dopo aver ripulito le stalle di Augia siano miracolosamente freschi come una rosa: purtroppo il motivo è osceno, non sono prostrati perché “non fanno niente, basta la presenza”. Il loro ruolo è un bunker, e lorsignori godono crogiolandosi nella loro collezione di prerogative, sapendo che tanti, esclusi dal bengodi, povere gazzelle alla mercé di disparati predatori, sospirano e rosicano nel vederli così in salute.
Esternamente, però, hanno bon ton, “ti sorridono volentieri”. Parolacce e voce alta, sbruffonate e rodomontate trash si confanno ad altri; a loro, con la mala mole della loro reputazione, non servono più di tanto, e i suddetti sorrisi non sono rischiosi, perché sono una forma di regalato e regolato distacco, pietas in maschera, non certo un vero ponte amicale.
Se la tirano, credono d’essere chissà chi, come se la grossezza del potere equivalga a quella della mente, come se atteggiarsi a professori sia un segno di vera profondità filosofica. Vecchioni è chiaro: “sembrano meditare”, ma, dietro titoli sostanzialmente farlocchi, “non hanno pensieri”.
Un esempio della loro falsa sapienza? Ogni tanto contemplano le alte sfere dell’universo, perché da qualche parte hanno letto che essi discendono, di passaggio in passaggio, da quelle Verità, però, e purtroppo per loro, somigliano ai lupi, che perdono il pelo ma non il vizio. Abituati a riflettere terra terra, credono che questa derivazione debba implicare una scala per raggiungere le stelle -i praticoni ragionano così, sono allergici a ogni astrazione che non si possa toccare, a ogni valore che non si possa mettere fra i concreti ingredienti d’una pappa-. Siccome ignorano il modo in cui costruire ‘sta benedetta scala, lasciano perdere, e ritornano nella loro routine. Dorata, elitaria e alternativa per partito preso, “D’estate in montagna, d’inverno in riviera”, e a Capodanno in crociera. Non perdono un colpo nel loro edonismo ‘borghese’, e tentano pure di conciliare il loro obeso ‘epicureismo’ con dichiarazioni di alto profilo, come quando, ospiti in tivvù, enunciano, con ostentata e seriosa solennità, “Che i giovani vogliono un mondo migliore”.
Io posso pure voler spezzare una lancia in loro favore, ma ho l’impressione che Roberto non sia d’accordo, perché egli crede che questi agiati protagonisti abbiano la faccia come un deretano: “La faccia però è solo quella coi denti”.
Solo apparente il dissenso tra me e il professor Vecchioni in merito all’explicit di questa sua opera. Secondo lui “sembrano fermi, ma vanno lontano”, secondo me sembra che vadano lontano, ma sono fermi. Vogliamo dire la stessa cosa, perché il ‘lontano’ del cantautore è un metaforico spazio di potere sociale, mentre “sembrano fermi” è l’ironica sottolineatura del fatto che, a prescindere dal frame che li protegge, tu li vedi e pensi che siano delle mezze cartucce.
A ben pensare, dunque, c’è idem sentire fra tre punti di vista, quello dell’autore, il mio e il giudizio del tu generico. Pensiamo parimenti che questi ippopotami umanoidi facciano strada nella carriera, ma siano immobili nel vero progresso culturale.
Walter Galasso
“i praticoni ragionano così, sono allergici a ogni astrazione che non si possa toccare, a ogni valore che non si possa mettere fra i concreti ingredienti d’una pappa”…
Quanto è vero! Lettura grandiosa! Grazie!