UN CHIRURGO COME VITTORIO ALFIERI:  VOLLE, E VOLLE SEMPRE, E FORTISSIMAMENTE VOLLE   [1 giornale italiano  (“CORRIERE DELLA SERA”);  Comune:  BOLOGNA]

UN CHIRURGO COME VITTORIO ALFIERI:  VOLLE, E VOLLE SEMPRE, E FORTISSIMAMENTE VOLLE   [1 giornale italiano  (“CORRIERE DELLA SERA”);  Comune:  BOLOGNA]

UN CHIRURGO COME VITTORIO ALFIERI:  VOLLE, E VOLLE SEMPRE, E FORTISSIMAMENTE VOLLE   [1 giornale italiano  (“CORRIERE DELLA SERA”);  Comune:  BOLOGNA]

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DI WALTER GALASSO

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   Il mio personaggio Rino Maltoni, protagonista di “Per un chirurgo il tran tran è un panurgo, meglio un van”, è un medico che, nonostante l’importanza della sua professione, a un certo punto smette di esercitarla, avvertendo nel suo routiniero lavoro un non so che di alientante e asfittico, per ritrovare tutta la piena e perduta freschezza della propria interiorità in un avventuroso viaggio in giro per il mondo.
   La sua scelta, balenga o creativa a seconda del punto di vista da cui venga interpretata, può sembrare, fra l’altro, un’applicazione esistenziale di un pensiero laterale, al posto di un atteggiamento logico-razionale: lui ha avvertito in sé un problema e, invece di pensare che nella sua eziologia ci fosse il bisogno di possedere ancora di più, sia economicamente che a livello di prestigio professionale, ha dato un’ideale sberla al verbo ‘avere’, nella sua accezione borghese, e ha optato per una svolta all’insegna di una sottrazione. Meno schei, meno visibilità su un piano di affermazione lavorativa, e clamorosa start up di un voyage, vagamente simile all’aspettativa per mandato politico di un professionista. La somiglianza, va da sé, è ridotta ai minimi termini, perché un professore che metta in stand-by la propria cattedra per prestare le sue competenze alla politica, in qualsivoglia ruolo istituzionale, fino a un certo punto ci perde, anzi, scriviamo pure che, al netto del suo legame con l’insegnamento, in questo passaggio tutto sommato sta meglio, mentre il dottor Maltoni sospende, forse parenteticamente, l’esercizio della professione medica per tuffarsi in un’esperienza, assai alternativa, nella quale in ambito finanziario e lavorativo probabilmente starà peggio. Però lui, che compie questa virata alieno da ogni tentennamento, è certo di poter bonificare, così facendo, il suo Io.
   Rino, alla vigilia della rivoluzione, si sente paradossalmente a disagio, prigioniero pur senza ergastolani intorno, tutt’altro che all’interno di una casa circondariale, senza un direttore di carcere sulla sua testa, senza agenti di polizia penitenziaria preposti a scandire ritmi d’una sua reclusione. E senza quelle incrociate inferriate che facciano vedere il Sole a scacchi. È ufficialmente, formalmente, bellamente libero, eppure nell’animo si sente in trappola, ché qualcosa non va, un valore gli manca, e lui progetta di dargli la caccia in una svolta che può far rima sia con ‘colta’ che con ‘stolta’. Colta o stolta? Per tanti soggetti conformisti la risposta esatta è la seconda, per l’irregolare temperamento di questo chirurgo la prima contiene al suo interno il nocciolo della verità.
   Egli somiglia al Vittorio Alfieri della “Lettera responsiva a Ranieri de’ Casalbigi”. Pure questo inquieto chirurgo, nel suo piccolo, vuole, e vuole sempre, e fortissimamente vuole. Agogna una fuga da un’occupazione che gli dà benessere e/ma lo condanna a sentirsi incluso in una claustrale matrioska di Savva Mamontov. Gli manca l’aria, si sente oppresso, non se stesso, perché la routine aggioga l’oceano che alberga, in formato compresso, dentro di lui.
   Forse è affetto da insecuritas, oppure, in modo diametralmente opposto, è fin troppo sicuro. Perché questo bolognese d’adozione, sorbole!, può pure risultare antipatico a tanti, buscarsi improperi e maledizioni da parte di chi, disoccupato o male occupato, gli imputi uno sputo su un agio per cui tanti sfigati membri del sottoproletariato farebbero follie, però, o leoni da tastiera pronti a sfotterlo e moralisti lì lì per dirne di ogni, date a Rino quello che è suo. Riconoscete che ha avuto coraggio, augurate a questo eroe buona fortuna, ché nella sua odissea in campervan può ritrovarsi sotto brutti chiari di luna.
   In fondo nel suo comportamento c’è anche la pregiata capacità di ricordarsi il valore assoluto, non solo meramente sociale, della qualità psichica. Il dottor Maltoni antepone il valore poetico ed etico del suo animo, ipersensibile, alla sopravvalutazione del ruolo sociale e professionale, che è importante ma non è tutto, e merita emendamenti se, per un motivo o per l’altro, penalizzi la tonalità emotiva del suo protagonista. Questo chirurgo, nella misura in cui reputa un panurgo il dorato tran tran del suo job, dimostra di saper distinguere lo stato d’animo dal posto nello Stato. Non è detto che, se buono il secondo, il primo gongoli e sia in brodo di giuggiole. In altre tipologie esistenziali vi può essere proporzionalità diretta e osmosi tra affermazione e il valore che al livello 1 -su 10- include serenità e al 10 Felicità: in Rino no. E lui, non pappataci, sentendosi infelix e non provando fifa blu nel riconoscerlo, impavido cambia rotta e scherza col fuoco, sfida gli dei dell’omologazione e non teme di fare la fine di Prometeo.
   Costui merita complimenti, che devono essere inviati anche a un suo ideale parente, il dottor Matteo Ceccoli, il protagonista della storia vera a cui il mio suddetto scritto -appartenente alla tipologia “Da cronaca a racconto”- fa implicito riferimento.
   Il passaggio dalla cronaca alla narrativa è in realtà molto indiretto, i due avendo ben poco in comune, ma in questo ambito di condivisione v’è il fatto clou: un medico che non si sente appieno soddisfatto nelle sue mansioni di chirurgo ortopedico, e decide di mettersi alla ricerca della letizia perduta, iniziando un aleatorio viaggio, on the road, nel gagliardo roarrr di un van.
   Il signor Ceccoli, uomo di San Marino e residente nella Dotta e Rossa città, alle soglie del trentesimo genetliaco, in fase di specializzazione post-laurea, realizza che dieci anni prima, nella fase embrionale della sua vocazione professionale, ha fatto i conti senza l’oste, ha previsto, nel suo avvenire di medico, tante rose e nemmeno una spina. Matteo trentenne ha la sensazione che il suo presente ferisca alquanto un po’ dei suoi sogni e delle sue elettriche curiosità.
   Al “Corriere della Sera”, che nella sua cultura dà evidenza a questa suggestiva storia, rivela preziose sfumature di questa topica ed epica epoca della e nella sua evoluzione. Il suo coraggio, che a qualcuno può apparire incoscienza, vola alto. Pur avendo fatto, in passato, solo un viaggio all’estero, in Perù, e pur non sapendo un’acca del ‘pianeta camper’, il giovane, nel decidere una svolta, manda al diavolo la prudenza -crepi l’avarizia spirituale-, e affronta a muso duro una prova dell’eroe. Il viaggio sarà su vasta scala, Anversa, Canada, Stati Uniti…, e il prevalente veicolo un van che sta così così:  lui, nella fase preliminare, attenderà, in un lodevole fai da te, a restaurarlo. Questo tour durerà qualche mese? Assolutamente no: come minimo due anni.
   Quando Roberta Bezzi gli chiede “Emozioni positive?”, il medico-poeta allude alla sublime venustà di “paesaggi meravigliosi”, allo spettacolo di “animali selvatici” allo stato libero, alla gioia di sentirsi “parte di qualcosa di grande” e al piacere di esperire “le filosofie sviluppate dai nativi” dei luoghi dell’avventura.
   Invio i miei complimenti al dottor Ceccoli: buona fortuna, Matteo, e se incontri il mio Rino portagli i saluti del suo autore.

Walter Galasso