![MARK KOSTABI: UN REBUS ALLA LUCE DEL SOLE [RACCONTO (FAVOLA); 1 ARTISTA (MARK KOSTABI); 1 OPERA (“SUNSHINE OF MY LIFE”)] MARK KOSTABI: UN REBUS ALLA LUCE DEL SOLE [RACCONTO (FAVOLA); 1 ARTISTA (MARK KOSTABI); 1 OPERA (“SUNSHINE OF MY LIFE”)]](https://www.romacampodeifiori.academy/wp-content/uploads/2025/01/5093113copia_copy_1658x2408.jpg)
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DI WALTER GALASSO

Uno strano viaggio, non da… a…, senza un complemento di origine o provenienza, e monco d’un complemento di termine accasato nella geografia. Esso è la storia di un tragitto che inizia nella ricca spaccatura di un’unità, come se un territorio si apra per effetto di un fortissimo soqquadro tellurico e una persona, fortunata nel rimanere su un orlo del neonato cratere, debba prima scendere sul suo imo, facendo attenzione a non scivolare precipitevolissimevolmente, e poi, dopo una passeggiata sul meridionale fondo del burrone, arrampicarsi dall’altra parte per scalare la balza e arrivare su, alla meta. Un luogo che, fino a un attimo prima del terremoto, era a un passo da lui.
Mark è il protagonista di questa traversata, interiore a livello di luogo, inferiore a una deambulazione di un milione di chilometri, superiore, in quanto immersione in sé, a una soggettività che sia tout court se stessa, senza suddividersi, grazie a una nutriente fase di articolata autocoscienza, in tante coordinate e immanenti parti.
Trionfa un ricchissimo caos. La personalità, una, esteriormente coesa, diventa, nel prisma di una visione equivalente a ottomila lenti d’ingrandimento, un ingarbugliato insieme di disordini, abbelliti e funzionali. Mark cogita, dunque inizia a sapere di essere, ma questo zoccolo duro di granitica certezza è solo l’inquieto incipit, in penombra, della sua rotta, iniziata perché in lui una muta unità -ingessato dinamismo in un falso assoluto- si è rotta e ne è uscito, come un pulcino da un uovo, il bisogno, tipico di un uomo coraggioso, di ricongiungere, in un insieme stavolta più conscio, i tratti del suo animo.
Mark in passato ha dato spettacolo, come enfant prodige di un’eccentrica e creativa personalità, con speciali iniziative, come fare interviste a se stesso o dipingere il tetto della sua stanza. È insomma avvezzo a giocare con lo status quo del suo Io e del frame materiale in cui egli si trova/trovi. Adesso questa pregressa dimestichezza con l’arte di spezzare i limiti, all’inizio e nella primavera di questa crociera ad alto tasso di suspense, gli può tornare utile, ma egli non si illuda in una nuda bugia dell’ottimismo. Questo fresco, aromatico, velleitario inizio sarà probabilmente seguito da un destabilizzante dedalo di crisi incerottate, sentieri di un pandemonio, nascosto dentro capricciosi e cerebrali cespugli a doppio fondo: la forma all’esterno, tot funzioni sotto, in una pazzesca ed elettrica complessità della sinergia fra ogni loro pezzo.
L’esploratore prende l’abbrivo, e si ritrova innanzitutto in un arlecchino tripudio di colori insurrezionali. Milioni, il codice Pantone ulteriormente arricchito da qualche nuance inerente a questo variegato show della psiche. L’uomo capisce ben presto che gli serve una spalla, un aiutante, un talentuoso alter ego, capace di destreggiarsi nella complicata missione di raccontare, qual testimone di prezioso tempo, l’intrepido scorrimento della sua consapevolezza in fieri. Il protagonista demanda a questo suo doppio, deuteragonista ma fino a un certo punto, il delicato incarico. Uno viaggia e l’altro, con la saggia capacità di prescindere dalla narcisistica voglia di interpretare a modo troppo suo le immagini, si limita a prenderne atto e a registrarle in una percezione oggettiva. Questo non significa che il suo sguardo equivalga a quello d’una macchina fotografica. Le immagini della interiorità di Mark vanno lette anche nel loro spessore filosofico e psicologico, però Mark 2, restando buono buono al suo posto, deve acciuffare, con strepitosa insight, questa pregnanza teoretica prelevandola dal cervello del suo gemello, Mark 1. Il quale si tuffa nell’esplorazione dell’interiore caleidoscopio come un sub stupito, poco dopo il la dell’immersione, nel constatare che sotto il pelo d’acqua non c’è più, come ai vecchi tempi, un colore dominante. Nel perimetro della sua vita s’intrecciano traiettorie pulsionali simili a scarabocchi, gioia per occhi golosi di anomalie, fardello per percezioni desiderose di vedere ordine e pensare ch’esso sia salubre vittoria del senso su orde di dispettosi dubbi.
Sfumature forse granguignolesche in posti chiave del volto: cominciamo bene! Non sono né vere né false: appartengono a una logica di male funzionale.
Intorno a un occhio, quello sinistro per chi vede da fuori, sono conficcati, come armi bianche simili a ricci di mare, aghi in comitiva: no problem, servono a tenere fermo un piccolo cielo, microcosmico Spazio sedutosi proprio sull’ombelico della pupilla. Su quello destro, invece, si inarca una specie di cicatrice, fa un po’ impressione, e qualcuno può sospettare che Mark appartenga alla malavita e se la sia buscata dopo un duello rusticano, egli sfregiato dal rivale in un momento no del match on the road. È vero: questa tenzone c’è stata, e l’avversario lo ha in effetti ferito, ma la sua è stata una vittoria di Pirro, in ultima analisi ha trionfato il buono, tant’è che questo secondo eye ha non solo l’effetto speciale d’uno spicchio della volta celeste, ma pure un atomo, profondamente azzurro, di oceano. Vista sinteticamente superdotata dopo l’antitesi di offese che hanno lasciato il tempo che hanno trovato.
Idem la paradossale positività di naso e bocca. Il primo ha un ambiguo, ancipite segno, che fu la scalognata spirale di un problema, una grana che parve irreversibile, ma poi è stata splendidamente emendata dalla chiocciola di una e-mail, emblema di un meraviglioso matrimonio fra Progresso e Avanguardia. Nella bocca abbonda il rosso, è sangue d’una ferita, ma non inganni, perché dalla massa red si diramano due simmetriche propaggini, che la trasformano in una coppa, un trofeo di fortunato vincitore.
Mark galoppa senza stress, come un cavallo in un canter, nella conoscenza -dall’interno- della sua testa, e lambisce segni neri. Strade nella notte? Qualche psichico boulevard a cui un black-out ha scippato il funzionamento dei lampioni? No. Queste tenebrose tracce sono palesi delimitazioni dell’area facciale. Senza la loro presenza il volto potrebbe mimetizzarsi con ciò che gli sta intorno, mentre così Mark 2 può da un chilometro capire che in mezzo ad essi alberga il biglietto da visita della personalità del gemello.
Sotto i bianchi pasticci che in questa cartina fenomenologica lavorano come mento, su un esiguo sfondo scuro, l’attività pulsionale di questo soggetto si distende con una lingua che, un po’ pendolo un po’ cravatta, in realtà è soprattutto l’icona del fondamento in senso materiale, ché quello esistenziale, il centro cardiaco di questo policromo universo pittorico, è ovviamente il cuore, eccezionalmente in basso a destra. Somiglia a un Sole, ha una corona di raggi intorno, che si irradiano dal fulcro in una suggestiva espansione dendroide. Servono pure a Mark -quando il viaggiatore scivola sulla superficie della sua interiorità- per non cadere: egli li afferra, si aggrappa ad essi come ad ancore di salvezza, e ne benedice la funzione di provvidenziali appigli. Rampollati, va da sé, da quei sentimenti che fanno bene a chi li prova. L’eroe, assicurato ad essi il suo equilibrio, si guarda intorno, per studiare la situazione e appurare che aria tiri in sé.
Vede e rivede, spia e contempla, sospetta maretta ma, orizzontandosi psicologicamente in una selva di segni rebussistici, alla fine riconosce un giallo amico. Esso inizia proprio su una macchia d’inchiostro, e Mark capisce subito quella street dove vada a parare. La raggiunge, non senza difficoltà -dall’ultimo suo segmento pende un frutto verde-, e prosegue il suo tour facendo leva su questo aiuto yellow, una sorta di mappa del tesoro. Cammina seguendo questa avanzata di giallo, abbarbicandosi, in avventurosa salita, fino al tripudio della tinta, proprio sulla testa. Qui il giallo vuol dire il primo ambasciatore del Sole, vagamente attorniato da un rosso stavolta dolce, come quello dell’aurora.
Gli viene spontaneo pensare “Finalmente realizzo la bellezza della mia vita, ricca di una vivacità che somiglia, sebbene sia a tratti un rebus, alla luce del Sole”. Mentre lui, commosso, elabora questo commento, Mark 2 scrive, come titolo del viaggio di suo fratello, “Sunshine of My Life”.
Walter Galasso